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1 dicembre, 2025Diversi Paesi Nato hanno avviato il programma Purl per il sostegno militare all’Ucraina. Per il governo, però, la decisione resta sospesa. E Zelensky esclude Roma dal suo giro europeo
Appena qualche giorno prima che si riaprissero le trattative di pace per l’Ucraina è socialista l’ultimo governo che in Europa ha deciso di accontentare Trump sulle armi a Kiev, lo stesso governo che aveva negato agli Stati Uniti le basi per intervenire nei mesi scorsi in Medio Oriente a favore di Israele e che in ogni caso non può certo essere accostato al trumpismo. Il premier spagnolo Sanchez il 18 novembre ha annunciato a Zelensky la prima rata – peraltro ridotta a 100 milioni di dollari rispetto ai 500 previsti – per acquistare da Washington gli armamenti da girare a Kiev secondo il programma Purl (Prioritized Ukraine Requirements List).
Invece, in Italia resta il no intransigente di Salvini, trumpiano della prima ora, con l’auspicio che «non serva più parlare di armi all’Ucraina» davanti alla nuova iniziativa Usa-Russia e ai suoi sviluppi, come se il problema della sicurezza di Kiev possa risolversi d’incanto. Senza tanti problemi, il leader della Lega e vicepremier è stato l’unico a schierarsi senza riserve a favore di una bozza “di pace” quando era ancora confezionata in modo tale da mettere sotto pressione l’Ucraina; ed è stato anche l’unico ad attaccare Zelensky con parole durissime e anche offensive dopo lo scandalo ucraino.
Però, attenzione. Nel centrodestra Salvini – che quando apre un contenzioso evita sempre di arrivare al punto di rottura – ha avviato un nuovo braccio di ferro sugli aiuti militari all’Ucraina in un momento di difficoltà anche interna di Zelensky per la corruzione emersa ma sapendo che la linea di Palazzo Chigi comunque non è più quella dei mesi scorsi come si sono accorti subito, vedendo “tentennamenti”, Calenda e Casini, in piazza a Roma per l’Ucraina insieme con i riformisti del Pd, +Europa e Forza Italia. La politica apparentemente ondivaga di Trump sull’Ucraina – nell’arco di tre mesi, prima la rottura con Putin nel vertice in Alaska poi i 28 punti della bozza di accordo infine i 19 punti concordati con Kiev – lascia spazio alle oscillazioni del governo Meloni. Sul programma Purl – l’acquisto di armi secondo quanto chiesto la scorsa estate dalla Casa Bianca agli alleati – si preferisce prendere tempo. Meloni al G8 di Johannesburg è stata abbastanza tranchant: «A ora non stiamo aderendo, in futuro si vedrà».
Ne ha pagato il prezzo il ministro Crosetto costretto a rinviare la visita a Washington già programmata. E le conseguenze le abbiamo viste con la mancata tappa romana nel giro europeo di Zelensky che a metà novembre ha toccato solo tre capitali, Atene, Madrid e Parigi. In verità, quest’ultima al pari di Roma non ha ancora deciso sulle preziose armi americane per Kiev (compresi i Patriot) ma ha concesso al presidente ucraino «un accordo storico sulla Difesa», come lo stesso l’ha definito riferendosi «a un significativo rafforzamento della nostra aviazione da combattimento, della difesa aerea e di altre capacità di difesa». La Francia, artefice con la Gran Bretagna del Gruppo dei Volenterosi, era pronta nei mesi scorsi a inviare i propri soldati in Ucraina.
Il programma Usa che vede il governo italiano recalcitrante nonostante sia stato avallato all’interno della Nato è quello sottoscritto da Trump con Rutte lo scorso luglio. Nei mesi successivi, hanno cominciato ad attuarlo Canada, Germania, Olanda, Danimarca, Norvegia, Svezia, infine la Spagna. Nel “raccomandare” il piano all’ultima riunione del Consiglio europeo, Zelensky è ricorso a un argomento che chiama in causa i rapporti fra le due sponde dell’Atlantico: «Il Purl non aiuta solo l’Ucraina, ma contribuisce a mantenere vivo l’interesse degli Stati Uniti per l’Europa e dimostra che il Vecchio Continente sta facendo la propria parte».
Invece, l’Italia – dopo l’iniziale disponibilità espressa dal ministro Crosetto, l’unico a essersi esposto – non ha deciso: una “non scelta” emersa ancora prima che venisse alla luce la bozza Witkoff-Dmitriev. L’unica certezza è lo sforzo del Quirinale per tenere la barra al centro, mantenendo il nostro Paese al fianco dei partner dell’Unione e nel rispetto degli accordi Nato sulla crisi ucraina. Non a caso è con Mattarella che i russi polemizzano attaccandolo apertamente come è avvenuto in più di una occasione.
E anche la più recente riunione del Consiglio Supremo di Difesa al Quirinale ha confermato che la linea resta quella: «Fondamentale rimane la partecipazione alle iniziative dell’Unione europea e della Nato di sostegno a Kiev e il lavoro per la futura ricostruzione del Paese». Se il principio della difesa collettiva dei Paesi Nato con riferimento alle garanzie di sicurezza dell’Ucraina viene accolto, in alternativa all’adesione di Kiev alla Nato e alla conseguente previsione dell’art.5 del Trattato, l’Italia vedrebbe accolta la propria proposta di mediazione portata avanti negli ultimi mesi, a partire dall’incontro Trump-Meloni della scorsa primavera.
L’Italia ha anche aderito all’invito statunitense di aumentare progressivamente la spesa per la Difesa fino ad arrivare al 5 per cento. Resta fuori l’acquisto di armi americane pro-Ucraina. Il rinvio della decisione ha anche un risvolto di politica italiana: riavvicina sull’Ucraina Meloni e Salvini allentando su questo terreno le tensioni degli ultimi anni, ma con un’incognita sui prossimi mesi, per quanto riguarda gli sviluppi della situazione ucraina. E con l’Europa che vedrà comunque crescere il proprio ruolo per la sicurezza di Kiev, compreso il programma Purl.
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