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15 dicembre, 2025È partita con forza la campagna elettorale per il 2027. E la possibilità che Francia e Spagna possano cadere preda di un novello Orbán è ormai diventata una probabilità. Con conseguenze esistenziali per l'Unione europea
Bruxelles non dorme più. E non perché vuole fare a gara con New York ma perché la politica europea è diventata una roulette russa. Da qui in avanti potrebbe bastare un solo proiettile, ovvero una sola elezione nazionale, per uccidere nei prossimi anni l’impianto comune dell’Unione europea. Dove da anni non esiste più un’alternanza di governo sana tra partiti di destra e di sinistra. Dove la Spagna è rimasto l’ultimo grande Paese con un governo genuinamente progressista. E dove la destra anti-europeista e trumpiana sta avanzando incontrastata.
Se arriverà al potere negli Stati chiave d’Europa, questa destra non esiterà a usarlo per disgregare le istituzioni dall’interno, come del resto annuncia da anni. Ufficialmente con l’idea di riportare efficienza nell’economia, azzerando le lungaggini e i sofismi di Bruxelles, in realtà per conquistarne il timone di comando, senza gli impedimenti di un’entità sovranazionale preposta innanzitutto alla tutela dei diritti democratici di tutti i suoi membri.
«Certo che darei il mio supporto nelle prossime elezioni europee», ha detto Donald Trump nella recente intervista al sito Politico: «Ho già dato il mio sostegno ma l’ho dato a persone che non piacciono a molti europei. Come Viktor Orbán», l’autocrate ungherese per il quale il presidente americano riserva parole di stima nella stessa frase in cui insulta la leadership europea.
Oggi la possibilità che uno dei maggiori Stati europei possa cadere nelle mani di un novello Orbán è diventata probabilità. Nel 2027 Madrid, Parigi, Varsavia e Roma andranno al voto per eleggere i nuovi capi di Stato. Nonostante manchi un anno e mezzo, in due di queste capitali la campagna elettorale è già partita con veemenza, e con essa il balletto dei sondaggi e la rete delle notizie false e delle dosi di paura trasmesse attraverso quello che Pedro Sanchez definisce “lo stato fallito dei social media”. Fallito nella sua missione originale di rendere l’informazione un bene pubblico ma riuscito nell’intento di influenzare le scelte della cittadinanza senza che essa se ne renda conto. Come fa da anni la Russia, e da qualche mese hanno preso a fare anche gli Stati Uniti e i loro politici-vassalli europei.
Spagna e Francia eleggeranno il successore di due leader il cui volto è noto a tutti, da tanto tempo: Sanchez e Emmanuel Macron. Due politici con risultati e apprezzamenti diversi in Patria ma entrambi per anni bastioni contro l’estremismo politico di destra, oggi sotto accusa per avere spianato la strada proprio all’estrema destra: uno avendo sottovalutato l’importanza delle politiche sociali nazionali (Macron), l’altro a causa degli scandali per corruzione di cui si sono macchiati familiari e baroni del suo partito (Sanchez).
La loro dipartita – certa nel caso di Macron, molto probabile in quello di Sanchez – spalancherebbe la porta ai politici sovranisti, nemici dell’impianto comunitario, che strumentalizzano la paura verso il migrante e suscitano disprezzo contro le élites dell’Unione per ottenere consensi, privi di politiche alternative capaci di rallentare il declino economico e geopolitico del Vecchio Continente. Un declino ormai difficile da ignorare ma anche impossibile da arrestare a livello di stato-nazione, in un mondo dominato da potenti Stati-continenti e non più da quelle città-Stato poi diventate nazioni in cui per secoli è stata frammentata l’Europa continentale.
Così, se in Francia è partita la competizione a sinistra per scegliere l’uomo che tenterà di impedire al partito dell’estrema destra francese, attualmente in testa ai sondaggi con il 34 per cento dei voti, di governare l’Esagono sulle ceneri del macronismo, in Spagna è sfida aperta tra i leader delle due destre per impedire al socialismo di Sanchez, ultimo grande leader della sinistra europea, di restare filosofia di governo.
Due sfide speculari tra due uomini della stessa parte politica. Distrutta dall’avvento di Macron otto anni fa, la sinistra francese, oggi che il liberismo è a pezzi e la destra alle porte del potere, cerca la rimonta offrendo due versioni di se stessa: quella netta, intollerante ai compromessi e alla Nato, molto carismatica ma spaventosa per una parte della popolazione, incarnata dall’inossidabile Jean-Luc Mélenchon, 74 anni, e quella moderata, profondamente europeista e pro-Nato ma spesso inconcludente, a cui capo vorrebbe essere ufficilizzato l’europarlamentare Raphael Glucksmann, 46 anni, sostenitore della necessità di una difesa comune europea, e della sistemazione delle finanze disastrate del Paese.
Entrambi si presentano come l’ultimo baluardo contro Jordan Bardella, il delfino trentenne di Marine Le Pen che da due anni si prepara a diventare capo di stato se la magistratura lo impedirà a lei, condannata quest’anno in primo grado per avere dirottato soldi europei nelle casse del suo partito ed esclusa per cinque anni da incarichi pubblici.
Se il primo veleggia intorno al quarto dei consensi ma perderebbe certamente al secondo turno presidenziale, spiega Mujtaba Rahman dell’Eurasia Group, il secondo candidato leader potrebbe invece avere una possibilità di battere sia Bardella sia Le Pen. I due non si sopportano e, se non troveranno un modo per costruire un fronte unito, rischiano di creare una frattura insanabile che condurrà alla disfatta della resistenza alla destra illiberale, intenta a ritrovare la coesione.
«Ci sono molti elettori di destra che oggi sono orfani di un leader e di un progetto politico», ha detto recentemente Bardella ai giornalisti: «Io desidero unire tutti i francesi patrioti che per troppo tempo sono stati separati dalla trappola di Francois Mitterand», ovvero dalla strategia del defunto presidente socialista di favorire il Fronte nazionale per dividere la destra e impedirle di governare anche quando vinceva, come nel caso di Nicholas Sarkozy. «Coloro che nel 2007 hanno votato per lui oggi possono credere in me».
In Spagna invece ci sono due destre a un passo dal potere: quella monarchica di Alberto Núñez Feijoo che guida i popolari spagnoli, e quella sovranista e populista del carismatico Santiago Abascal, leader di Vox. Nei sondaggi, i popolari hanno superato i socialisti (32 per cento contro 28 per cento) che perdono consensi anche tra i membri della coalizione di governo, con il sostegno popolare a Sumar e Podemos dimezzato, ma i sovranisti sembrano guadagnare terreno ogni giorno che passa. Sono sospinti dal voto degli under 35 che oggi vedono nel rifiuto della politica di governo inclusiva con le donne e la comunità Lgbtq una forma di ribellione al potere costituito, che in Spagna ha appunto normalizzato uguaglianza e inclusione. Amplificatori delle politiche reazionarie e misogine di Abascal sono i social media - Tik Tok in testa perché non segmenta gli utenti per categoria politica - che lui, come Bardella in Francia, ha imparato a usare sapientemente per attrarre votanti, mescolando umorismo, icone pop e semplicità manichea: patriottismo senza complessi, immigrati come rivali, guerra alla “dittatura” del linguaggio inclusivo.
Non hanno aiutato l’immagine della sinistra “corretta” i recenti scandali del partito socialista. Il più recente è il “caso Koldo”, che riguarda appalti pubblici assegnati in modo irregolare durante e dopo la pandemia da dirigenti socialisti tra cui l’ex ministro dei trasporti e un suo ex collaboratore, Koldo Garcia, oggi formalmente incriminato. Pochi mesi prima, lo scorso giugno, era scoppiato il “caso Santos Cerdan”, lui ex numero tre del partito, indicato come figura chiave in un giro di tangenti da almeno 620 mila euro. Le accuse hanno anche raggiunto la moglie di Sanchez, Begona Gomez, rinviata a giudizio lo scorso settembre con l’accusa di malversazione di fondi pubblici per avere utilizzato la sua assistente alla Moncloa per compiti non istituzionali. Un’accusa non grave ma che, strumentalizzata, ha ulteriormente incrinato la fiducia in Sanchez di una parte degli spagnoli.
Il risultato di questi due duelli nazionali tutti al maschile avrà conseguenze per ogni europeo. La speranza è che spagnoli e francesi non dimentichino che l’Europa è stata costruita come barriera contro la dittatura. Dove arretra l’una, avanza l’altra.
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