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16 dicembre, 2025Visite, ipotesi di collaborazioni, scambi: il presidente tunisino Kais Saied, amico della premier, resta una pedina dello scacchiere occidentale, ma apre all’Iran. E preoccupa Europa e Stati Uniti
Personaggio enigmatico e sfuggente Kais Saied, 67 anni, il presidente della Tunisia: alleato dell’Europa e dell’Occidente, almeno sulla carta, occhieggia anche alla Russia, alla Cina e, soprattutto negli ultimi tempi, all’Iran. Al cospetto di Europa e Washington, garante di Saied è Giorgia Meloni: gli ha chiesto e ha ottenuto di bloccare i flussi di migranti clandestini verso Lampedusa. Successo rivendicato costantemente dalla premier, nonostante i traffici si siano spostati sulle coste libiche. Saied si è rivelato un obbediente guardiano delle nostre frontiere, ma impensieriscono sempre più le sue uscite anti-occidentali condite da retorica anti-imperialistica. Negli anni scorsi aveva già rifiutato un prestito del Fondo monetario internazionale da 1,9 miliardi di dollari, rigettandone i “diktat”, cioè le riforme imposte per ottenerlo, ma anche necessarie alla sua economia, afflitta da una crisi endemica. Su Gaza, fin dagli inizi, ha preso posizioni pro-Palestina con sparate via social destinate alla pancia del Paese. Le recenti strizzate d'occhio a Teheran sono segnali che preoccupano ulteriormente, l’Italia in particolare. Che confida molto nell’amicizia personale tra la premier e l’ex professore universitario, venuto fuori dal nulla e diventato presidente nel 2019.
«A Meloni Bruxelles e Donald Trump hanno subappaltato la “gestione” di Saied», sottolinea Hamza Meddeb, politologo, ricercatore al Carnegie Middle East Center. Un “incarico” che ha portato la premier a piombare a sorpresa a Tunisi il 31 luglio per l’ennesima visita lampo. Probabilmente per rinsaldare il rapporto. Dal momento che il viaggio è avvenuto a pochi giorni dall’incontro tra Saied e il consigliere di Trump Massad Boulos, durante il quale il presidente aveva mostrato in favore di telecamere le foto di bambini palestinesi straziati dalla fame. Una mossa che aveva colpito Washington.
Poco più di una settimana dopo, il 10 settembre, Saied ha ricevuto a Tunisi Abbas Araghchi, il ministro degli Esteri iraniano. Hanno certamente parlato della Palestina. E a seguire hanno iniziato a circolare voci circa la possibilità che il presidente potesse accogliere dirigenti di Hamas in fuga da Gaza. Ma i colloqui hanno anche virato su ipotesi di collaborazione economica e politica. Del resto è da più di un anno che il presidente tunisino flirta con gli iraniani. Sotto gli auspici dell’Algeria, la cui influenza sulla Tunisia cresce sempre più, Saied aveva incontrato il presidente iraniano Ebrahim Raissi nel marzo 2024, al vertice dei Paesi esportatori di gas, organizzato ad Algeri. Tre mesi più tardi, Saied era accorso a Teheran per il suo funerale. Nel giugno scorso i due Paesi hanno tolto l’obbligo del visto d’ingresso per i rispettivi cittadini e in estate un collegamento di Iran Air Tours è stato aperto fra Teheran e Monastir, località balneare tunisina.
Ma cosa c’entra Saied con l’Iran? Conservatore islamico, proviene dalla tradizione panarabista, profondamente anti-occidentale. «Si propone come una “guida” per il suo popolo», sottolinea Hatem Nafti, il cui ultimo libro è Notre ami Kais Saied, pubblicato in Francia da Riveneuve. «Esiste – spiega – un certo spirito khomeinista nella sua concezione del potere. E pure nella verticalità di quel potere». La stessa che lo ha portato negli ultimi anni a una chiara deriva autoritaria. A spingerlo verso Teheran è pure il fratello Naoufel Saied, che è rimasto uno dei pochi consiglieri ascoltati ancora del “rais”. «Persona molto discreta, Naoufel proviene dalla “sinistra islamica”, che alla fine degli anni Settanta era affascinata dagli scritti di Ali Shariati, l’ideologo della rivoluzione iraniana», continua Nafti. Naoufel è rimasto da allora in questa costola della sinistra nazionalista panarabista.
L’avvicinamento tra i due Paesi è anche dovuto al fatto che «i due regimi sono isolati a livello internazionale – osserva Meddeb – Quello iraniano è fortemente indebolito, sia per i problemi di legittimità all’interno che per la perdita dei pochi alleati che aveva all’esterno, dopo la caduta di Bashar al-Assad in Siria, la disfatta dell’Hezbollah in Libano e la guerra dei 12 giorni di Israele. Cerca di rompere il suo isolamento. Quanto alla Tunisia, ha due soli veri alleati, Roma e Algeri. E quella con l’Italia è un’alleanza fondata su un patto migratorio: non costruita sul lungo periodo, ma sul rapporto personale con Meloni».
Sta di fatto, però, che l’Unione europea resta il principale partner commerciale della Tunisia: l’Ue riceve il 70 per cento delle esportazioni tunisine e fornisce l’88 per cento degli investimenti diretti stranieri. È impossibile che l’Iran possa sostituire l’Unione europea da questo punto di vista. E non possono farlo neanche la Russia e la Cina che non trova qui materie prime e interessi economici di peso. L’esercito, poi, dipende dagli Usa per le forniture e gli addestramenti. «Militarmente la Tunisia resta saldamente legata all’Occidente – continua Meddeb – nonostante gli ammiccamenti di Saied a Russia, Cina o all’Iran. L’esercito non permetterebbe mai l’abbandono del campo pro Nato».
Privo di un partito che lo sostenga e con una popolarità in calo, Saied deve la sua sopravvivenza proprio ai militari e all’apparato di sicurezza del ministero degli Interni, che (per il momento) lo mantengono al suo posto. Ma allora, con Teheran a quale gioco sta giocando? «Occhieggiare altrove permette a Saied di fare pressione sugli europei e gli americani – sottolinea Nafti – L’idea è dire: se non mi aiutate e se non riconoscete più la mia legittimità, andrò a cercare sostegni altrove. È un modo per chiedere di più».
Sulla base del memorandum firmato con l’Unione europea nel luglio 2023, la Tunisia ha ottenuto “appena” 105 milioni di euro di aiuti per la gestione dei migranti (e non tutti ancora incassati), mentre i 900 milioni previsti per l’assistenza macrofinanziaria non sono mai arrivati (perché vincolati al prestito Fmi, che Saied si è impuntato a rifiutare). «Fa il guardiano delle frontiere per Meloni e l’Europa quasi gratuitamente – conclude Meddeb – Libici, egiziani e turchi, invece, si sono fatti pagare profumatamente».
In questo flirt con l’Iran esiste un altro aspetto curioso. La Tunisia (a maggioranza sunnita) e l’Iran (sciita) sono agli antipodi nel mondo musulmano tra un islam vissuto in maniera molto liberale e un altro super rigorista. Nel febbraio scorso Ansieh Khazali, ex vice-presidente della Repubblica islamica, è venuta a Tunisi e vi ha tenuto una conferenza. Con un niqab, un velo nero che la copriva dalla testa ai piedi, ha fatto l’elogio delle condizioni delle donne in Iran, sostenendo la possibilità del matrimonio con minorenni. E spiegando quanto l’Iran fosse all’avanguardia grazie ai «matrimoni temporanei» (che permettono a una coppia una «gratificazione sessuale»), un «privilegio», secondo Khazali, offerto alle sue connazionali, per le quali la mansione principale resta comunque «educare i figli». Quel discorso aveva suscitato l’indignazione di diverse donne tunisine in un Paese che per i loro diritti è all’avanguardia. Appena diventata indipendente, nel 1956, la Tunisia approvò una normativa che proibì la poligamia e consentì il divorzio con la sola volontà della donna, una ventina d’anni prima di Italia, Francia e altri Paesi europei. E ancora oggi è un faro femminista nella galassia araba. Malgrado gli sforzi di Saied, Tunisi resta lontana da Teheran.
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