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23 dicembre, 2025La guerra in Ucraina ripropone la minaccia cancellata nel 1987. Usa e Germania hanno un accordo per un nuovo sistema di difesa. E la Russia ha gli Oreshnik puntati su Berlino
Il nome di Stanislav Petrov non dice oggi molto alla maggioranza delle persone. Nel 1983, all’apice della tensione tra Stati Uniti e Unione sovietica, il sistema satellitare sovietico aveva individuato cinque missili intercontinentali in partenza da una base nel Montana. Il tenente colonnello dell’Armata rossa avrebbe dovuto avvisare i superiori, scatenando una massiccia operazione di rappresaglia con missili balistici verso obiettivi strategici in Inghilterra, Francia, Germania Ovest e Stati Uniti. Petrov invece prese tempo, interpretò il segnale come un errore (lo era) e salvò il mondo da un Olocausto nucleare.
Questo episodio, insieme alla crescente consapevolezza dei rischi nucleari, contribuì al clima di dialogo tra le due superpotenze: Reagan e Gorbaciov firmarono nel 1987 il Trattato Inf che portò alla distruzione dei missili a raggio intermedio (oltre i 500 chilimetri) installati dalle due superpotenze in Europa. In seguito, il trattato New start pose un freno alla proliferazione di testate nucleari. L’intesa sugli euromissili fu uno dei simboli della distensione tra Est e Ovest e propiziò la fine della Guerra fredda.
A distanza di quarant’anni, però, una nuova corsa agli euromissili, questa volta ipersonici – in grado cioè di colpire obiettivi a migliaia di chilometri di distanza in pochi minuti – potrebbe tornare a essere un simbolo del nuovo cambio di scenario, innescato dalla guerra in Ucraina e dalle rinate tensioni tra Usa, Europa e Russia.
Una corsa al riarmo – senza attori in grado di fermare il gioco e tutta giocata sul suolo europeo – dagli esiti imprevedibili, «in cui un errore, non avrebbe questa volta nessun Petrov a porvi rimedio. Semplicemente non ci sarebbe il tempo», osserva il presidente di Peacelink, Alessandro Marescotti, uno dei primi a sollevare la questione.
DARK EAGLE
Nel luglio 2024, al margine di un summit Nato, Germania e Stati Uniti stipulano un accordo bilaterale per il dispiegamento nel 2026 non solo di Tomahawk e SM-6, ma anche di batterie statunitensi “Dark Eagle”, un sistema missilistico ipersonico con oltre 3mila chilometri di gittata, capace di colpire in profondità il territorio russo, con la possibilità di raggiungere – secondo alcune fonti militari – Mosca in 4-6 minuti, San Pietroburgo in 3-5 minuti.
Il contesto è noto: nel 2019, gli Stati Uniti si sono ritirati dal trattato Inf, accusando la controparte di aver schierato i missili balistici Iskander nell’enclave di Kaliningrad. Il vero spartiacque è però la guerra in Ucraina, dove i russi hanno tempestato le città dell’ex repubblica sovietica facendo largo uso di missili di nuova generazione. La Germania si sente da tempo in prima linea nella nuova guerra a Est, e non avendo sistemi propri si affida a quelli più moderni dell’alleato americano.
Dark Eagle servirà, in caso di guerra, a neutralizzare missili e sistemi progettati per impedire alla Nato di muoversi e rifornirsi in Europa, colpire radar e centri di comando mobili o lanciatori di missili balistici e da crociera. A pochi giorni dall’accordo, un report del think thank tedesco Swp (Istituto per gli affari internazionali e la sicurezza), classifica come a basso rischio l’operazione: la Germania è già un obiettivo prioritario per la Russia come hub logistico Nato e il dispiegamento dei nuovi missili non cambia radicalmente il livello di rischio. La possibilità di un’escalation «causata dall’ambiguità» è limitata perché i missili Usa sono convenzionali, non armabili con testate nucleari. La Russia – dicono ancora gli esperti tedeschi – ha capacità industriali insufficienti per avviare una vera corsa agli armamenti a medio raggio nel breve periodo.
LA RISPOSTA RUSSA
Che il rischio sia mal calcolato, lo dimostra subito la replica russa. Il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov dichiara a caldo che non esclude affatto l’uso di missili nucleari come risposta. Alzando la posta, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov afferma che le capitali europee sono «potenziali bersagli» per i missili russi, se gli Stati Uniti dispiegheranno i loro sistemi in Germania. Il paradosso è sottolineato dagli stessi russi: da un lato la Russia è bersaglio dei missili Usa, dall’altro i missili russi potrebbero puntare l’Europa.
Sembra il solito abbaiare alla luna dei russi, ma che le cose non stiano così lo dimostrano due fatti in rapida successione. Nel 2025 la Russia annuncia il ritiro dalla moratoria volontaria (il Trattato Inf è collassato nel 2019) sul dispiegamento di missili a medio e corto raggio. Ma il colpo che prende di sorpresa le cancellerie occidentali, è il lancio sull’Ucraina, nel novembre del 2024, di un nuovo missile ipersonico che i russi hanno classificato con il nome di “Oreshnik”, in grado di colpire Berlino dal suolo russo in dieci minuti, Varsavia in 6-8 minuti, Bruxelles in 12. Per il direttore della Rivista italiana di difesa, Pietro Batacchi «Europa e think tank hanno sottovalutato l’industria militare russa dopo le difficoltà iniziali in Ucraina, e questo spiega anche perché i vertici politici e militari europei si siano convinti a un certo punto di poter vincere la guerra. Ma anche se i russi hanno investito poco in armi convenzionali, la missilistica russa era e rimane settore tecnologico solido e non c’erano segnali che dicessero qualcosa di diverso».
MISSILI SENZA DIPLOMAZIA
Dark Eagle e Oreshnik sono due sistemi d’arma diversi ma entrambi in grado di bucare le difese avversarie: «Dark Eagle – sottolinea Batacchi – ha una testata planante, altamente manovrabile, pensato per impiego convenzionale ma è più difficile da rilevare rispetto ai missili balistici. L’Oreshnik è un missile balistico a raggio intermedio, non ipersonico ma potenzialmente nucleare». Il salto di qualità nella minaccia è evidente, per l’esperto: «Venuta meno ogni cornice di riferimento, ognuno fa come vuole e i missili giocheranno un ruolo importante in questo gioco di azioni e reazioni. Mentre in passato la deterrenza era affidata a missili intercontinentali, ora la sfida si sposta su suolo europeo, con tempi di reazione che si riducono a pochi minuti: così aumenta la tensione, con rischi maggiori di errore e di escalation». Né si intravedono, per Batacchi, attori capaci di ripristinare un dialogo né di porre freni credibili, in un quadro che si evolve verso una iper-competizione tra potenze. Per Fabrizio Coticchia, docente di Studi strategici dell’Università di Genova, «missili e difese antimissile sono diventati centrali con la guerra in Ucraina, così come i droni, ma la corsa alle armi da sola, come è evidente, non sembra creare deterrenza. Al contrario genera una spirale in cui ogni volta si alza il livello dello scontro». Servirebbe diplomazia, «ma oggi – aggiunge – lo spazio diplomatico europeo è debole e le scelte strategiche sono dominate da attori di potenze come Usa e Russia, e dalle industrie della difesa, che beneficiano della corsa al riarmo».
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