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3 dicembre, 2025Le stanze più riservate del Pentagono sono divise non solo da divergenze strategiche ma da qualcosa di più umano e per questo più pericoloso: l’antipatia fra il segretario dell’esercito americano Dan Driscoll (strettissimo alleato del vicepresidente Vance) e il segretario alla Guerra, Pete Hegseth
A Washington lo chiamano già “il dossier taciuto”, quello che nessuno vuole mettere per iscritto ma che circola da settimane tra Capitol Hill e le stanze più riservate del Pentagono. A dividerle, dicono fonti vicine all’amministrazione, non sono divergenze strategiche ma qualcosa di più umano e per questo più pericoloso: l’antipatia reciproca fra il segretario dell’esercito americano (U.S. Army Secretary) Dan Driscoll (strettissimo alleato del vicepresidente Vance) e il capo del Pentagono, Pete Hegseth.
Driscoll ha da poco assunto un ruolo tanto importante quanto delicato, essendo stato nominato dal presidente Trump inviato speciale e negoziatore chiave per promuovere il piano di pace per la risoluzione della guerra in Ucraina, di fatto sostituendo il dimissionario Keith Kellogg.
La frattura non è esplosa all’improvviso. Secondo chi frequenta gli uffici del dipartimento della Difesa, il rapporto si è logorato lentamente, consumato da diffidenze, ambizioni e segnali interpretati – o mal interpretati – come sfide personali. «Per Hegseth, Driscoll punta troppo in alto, troppo in fretta», racconta un funzionario che chiede l’anonimato. «Lui lo considera brillante, sì, ma anche eccessivamente competitivo».
Nell’entourage politico dell’amministrazione trumpiana, raccontano, Driscoll viene descritto come “uno destinato ad andare lontano”. È un giudizio lusinghiero, che però in un contesto iper-gerarchico come quello della Difesa può trasformarsi rapidamente in un sospetto: l’idea che il segretario dell’Esercito stia già costruendo il proprio percorso verso un ruolo più alto. «Ha chiaramente fatto capire che non escluderebbe di voler guidare un giorno il Pentagono», spiega un esperto che segue il dossier da vicino.
Eppure, chi ha lavorato con lui tratteggia un profilo diverso da quello del politico affamato di potere. Un ex dipendente del Pentagono ricorda Driscoll come «uno che conosce il terreno meglio di molti civili», forte della sua esperienza diretta nelle forze armate. «È sicuro di sé, ma non arrogante. Determinato, molto serio. Sa che certe decisioni richiedono un margine di rischio, ma si muove con disciplina».
La tensione personale, però, si inserisce in un quadro più ampio: la crescente competizione interna all’amministrazione. Le fratture, osservano alcuni analisti, non riguardano solo la Difesa. Si moltiplicano in quasi tutti i dipartimenti, alimentate dal clima di rivalità che accompagna ogni fase preparatoria alle grandi scelte geopolitiche.
In questo contesto, lo scontro sotterraneo tra Driscoll e Hegseth diventa un indicatore del momento. Non tanto per le sue implicazioni immediate, quanto per il segnale che invia all’esterno: il timore che le divisioni interne possano pesare sulle decisioni strategiche degli Stati Uniti nei mesi a venire.
Per ora nessuno parla di rottura irreparabile. Ma negli uffici di Pennsylvania Avenue, dove le voci corrono più veloci dei memorandum ufficiali, c’è chi avverte: «Le tensioni personali sono sempre il primo sintomo. Se non si interviene, diventano politica. E quando diventano politica, diventano un problema del Paese».
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