Mondo
31 dicembre, 2025Quarantamila bambini hanno perso uno o entrambi i genitori. Hamza è nato quando la madre era già morta dopo che una bomba aveva centrato la tenda della sua famiglia
Il petto caldo di nostra madre; il primo luogo al mondo nel quale tutti siamo stati. Appena usciti dal guscio dell’utero, i battiti del suo cuore hanno accompagnato i nostri primi, candidi respiri. Anche se non lo ricordiamo, quel momento ha plasmato dentro di noi una sensazione di sicurezza, ha donato alla nostra anima una calma che cerchiamo ogniqualvolta affoghiamo il viso nell’abbraccio materno.
Hamza Amro Sbah non ha sentito alcun calore una volta nato, anzi, ha sentito freddo. Sua madre e suo padre sono stati colpiti all’interno di una tenda nella Striscia di Gaza, e così i suoi fratelli, morti tutti sul colpo. Hamza è rimasto vivo. Vivo all’interno del corpo della madre uccisa. È stato salvato perché la zia materna è corsa in ospedale ad avvertire i medici che alla sorella mancava una sola settimana alla data presunta del parto. Così hanno cercato la madre di Hamza tra i corpi nelle celle frigorifere e con un cesareo, Hamza è nato dal corpo della madre senza vita. La sua data di nascita coincide con la data di morte dei suoi genitori, dei suoi fratelli e di quel passato che non conoscerà mai. Oggi Hamza ha tre mesi e a causa di quei lunghi minuti in cui è stato senza ossigeno soffre di attacchi epilettici.
A prendersi cura di lui è il fratello del nonno, aiutato dalla sorella, perché anche il nonno è stato ucciso. Assieme a Hamza, i due anziani si prendono cura di un altro orfano: Abd Al Salam, 9 anni, lontano cugino di Hamza, anche lui unico superstite della famiglia. Hamza e Abd Al Salam sono due tra gli oltre 40mila bambini che a Gaza hanno perso uno o entrambi i genitori durante il genocidio. Secondo un rapporto pubblicato ad aprile dal Palestinian central bureau of statistics (Pcbs) a Gaza si registra «la più grande crisi di orfani della storia moderna». Raramente, se non mai, così tanti bambini sono stati privati dei genitori in un periodo così breve di tempo.
Dei 40mila orfani, circa 17mila sono stati privati di entrambi i genitori. O come per il caso di Hamza e Abd Al Salam, molti sono gli unici sopravvissuti dell’intera famiglia. Abd Al Salam ha visto con i propri occhi i genitori uccisi, i fratelli, prelevati pezzo per pezzo dalle macerie. Quando la bomba ha raggiunto la loro casa, lui era l’unico al piano superiore, per questo è rimasto in vita. Per circa due settimane non ha parlato, racconta l’uomo che si prende cura di lui, non ha detto una parola, non ha pianto, non ha versato neanche una lacrima, non ha mangiato, è stato semplicemente in silenzio, masticato da un trauma troppo grande, che non conosce parole. «A volte si sveglia di notte – ci racconta l’uomo – e piange, dicendo che ha visto in sogno la madre, il padre».
Abd Al Salam e Hamza, fratelli d’adozione, vivono nell’aula di una scuola ridotta a campo profughi. La donna che culla Hamza tra le braccia dice: «Non sono mai stata sposata e non ho mai avuto figli, forse Dio ha voluto concedermi una possibilità».
Possibilità. È una parola importante. Un termine che accende in me un turbine di domande. Quante possibilità hanno questi orfani di condurre una vita normale? Tramite la video-intervista ad Abd Al Salam vedo nei suoi occhi grandi tutte le possibilità del mondo spente, vedo un mare buio, una tristezza radicata troppo in profondità. Nel suo piccolo viso vedo l’ombra di un uomo che crescerà portandosi addosso un vuoto incolmabile. Quante possibilità di sognare o di costruire un futuro dentro l’aula di una scuola nella quale nessuno studia più ma tutti cercano di mandare avanti il giorno? Abd Al Salam ha un sogno: diventare un musicista, un chitarrista. «Perchè?», gli chiede chi lo intervista per me. E Abd Al Salam corre a prendere il suo gioco-chitarra. «È l’unico gioco che ho», risponde, semplicemente. Prova a suonare qualche nota. Lo guardo mentre prova a distrarsi, ad allontanarsi da un dolore troppo grande e in quella piccola chitarra capisco una cosa importante: è l’unico strumento che il mondo ha concesso ad Abd Al Salam, l’unica fune appesa alle stelle che Abd Al Salam può tirare per sognare. Mi rendo conto, guardando un orfano di Gaza, l’unico sopravvissuto di tutta la sua famiglia, che i bambini sognano in base agli strumenti che diamo loro. La grandezza del sogno di un bambino è responsabilità nostra, è responsabilità degli adulti. A Gaza, dunque, non solo sono stati uccisi 20mila bambini, ma a più di 40mila orfani stiamo togliendo futuro, speranza. Perché a Gaza non esistono strutture che si occupano di questi bambini, non ci sono programmi per il ripristino dell’istruzione, c’è una totale assenza di assistenza sociale e di sostegno psicologico.
Prima del genocidio esisteva l’Associazione Amal per gli orfani, ma anche quel centro, mi raccontano, è divenuto un rifugio per i profughi. Il 99 per cento degli orfani di Gaza vive assieme a lontani parenti, legati solo dal sangue. Alcuni sono stati adottati dai vicini di casa. Altri affidati a famiglie estranee. Le circostanze a Gaza hanno portato alcune donne, in particolare quelle che non sono in grado di avere figli, ad abbracciare la maternità per la prima volta. Alcune sono persino ricorse a quella che viene definita «lattazione indotta e allattamento al seno» per diventare, come dicono loro, «madri legittime» per questi orfani.
I rapporti delle agenzie umanitarie, come l’Unicef, mettono in evidenza come molti di loro siano costretti a scavare nei rifiuti, a fare file chilometriche per avere dell’acqua potabile o a vendere piccoli prodotti per contribuire al bilancio di chi li mantiene. «Sono bambini che avrebbero dovuto giocare e studiare, ma le circostanze li spingono a fare altro», osserva Tess Ingram, portavoce dell’Unicef.
In questa situazione drammatica, alcune organizzazioni umanitarie come Unicef, Save the Children e Islamic Relief stanno provando ad arginare la crisi degli orfani garantendo supporto economico alle famiglie che li mantengono. Islamic Relief, organizzazione umanitaria fondata nel Regno Unito, con una sede anche in Italia, sostiene i bambini orfani a Gaza dal 1999 tramite un programma di adozione a distanza degli orfani, che è stato ampliato da quando è iniziata l’attuale crisi. Attraverso il programma di adozione, i donatori vengono abbinati a bambini orfani che necessitano di supporto, i quali ricevono la donazione sotto forma di contributo mensile. Oltre 7.300 bambini sono attualmente nel loro sistema, in attesa di essere abbinati a un donatore. Oggi questo progetto, specifica l’organizzazione, rappresenta quasi l’unica via per sostenere direttamente gli orfani di Gaza. Per questo motivo il programma è stato reso più flessibile: le famiglie ricevono una somma senza vincoli su come spenderla, una decisione resa necessaria dalla situazione catastrofica.
E se la grandezza dei sogni dei bambini è una nostra responsabilità, allora tocca a noi garantir loro gli strumenti per poter sognare. Possiamo essere un’ancora di salvezza per gli orfani di Gaza. Nessuno può restituir loro l’abbraccio caldo della madre, la spalla rassicurante del padre. Ma a volte, a un orfano di Gaza, privato di ciascun bene primario, come il cibo, l’acqua potabile, la sicurezza di una casa, bastano persino le corde di una chitarra per ricominciare a sognare.

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