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4 dicembre, 2025Secondo l'autorevole quotidiano americano, le recenti restrizioni volute dal dipartimento della Difesa andrebbero contro il primo emendamento
Negli Stati Uniti si riaccende lo scontro sulla libertà di stampa. Il New York Times ha infatti depositato una causa contro il Pentagono e contro il segretario alla Difesa Pete Hegseth, accusando l’amministrazione di aver imposto una stretta senza precedenti all’accesso dei giornalisti. È solo l’ultima tappa di una tensione crescente tra media e governo, esplosa a ottobre quando il Pentagono ha introdotto nuove regole che ridefiniscono - e per molti comprimono - il lavoro dei reporter all’interno della sede militare.
Viene richiesto ai giornalisti di firmare un accordo vincolante che limita fortemente la possibilità di ottenere e divulgare informazioni non autorizzate, anche quando non sono classificate. Le norme, denunciano i media, non si limitano a regolare l’uso di documenti sensibili, ma incidono sull’intero processo di raccolta delle notizie: muoversi all’interno del Pentagono diventa possibile solo se “accompagnati”, l’accesso alle aree non pubbliche è ridotto al minimo, e chi non accetta di firmare perde il tesserino stampa. Una condizione che - sostengono la maggior parte dei cronisti - trasforma un luogo tradizionalmente aperto al dialogo con i reporter in uno spazio blindato e gestito con criteri politici.
L’autorevole quotidiano americano, che insieme ad altre importanti testate aveva rifiutato di sottoscrivere il nuovo accordo, sostiene che tali regole violino il Primo emendamento. Nel ricorso, il Nyt parla apertamente di una “minaccia alla libertà di stampa”, denunciando un tentativo di esercitare un controllo preventivo sulle informazioni che potrebbero risultare scomode per il governo. A sostegno della propria posizione, il giornale ricorda che la stampa accreditata al Pentagono svolge da decenni un ruolo centrale nel monitorare decisioni e operazioni militari che hanno un impatto diretto sulla politica estera, sulla sicurezza nazionale e sul budget federale.
La risposta del dipartimento della Difesa, affidata al portavoce Sean Parnell, insiste invece sulla necessità di proteggere informazioni sensibili e di razionalizzare l’accesso a una struttura dove, sostiene l’amministrazione, i rischi di divulgazioni non autorizzate sono aumentati. L’argomento della sicurezza nazionale non ha tuttavia convinto le testate coinvolte. Secondo il New York Times, le misure sono “sproporzionate” e prive di una giustificazione concreta, soprattutto perché colpiscono anche informazioni di carattere ordinario, non legate ad alcuna classificazione.
La protesta dei media non si è limitata alle parole. Nelle scorse settimane decine di reporter hanno riconsegnato i pass e abbandonato l’edificio, segnando una rottura profonda tra il Pentagono e la comunità giornalistica. Il caso ora finisce in tribunale, e le sue implicazioni vanno ben oltre il rapporto tra un singolo quotidiano e il governo federale.
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