Huawei gate, l'arresto di Lucia Simeone e quella lettera firmata anche da Martusciello contro il "razzismo tecnologico"

Nuove ombre sul politico di Forza Italia, che sogna la presidenza della Regione Campania

Forse il Parlamento europeo non è quell’organo così inutile che molti in Italia vogliono fare credere, se negli ultimi tre anni è diventato un vero e proprio covo di intrighi e mazzette. Non ancora chiuso il “Qatar-gate”, lo scandalo del 2022 che ha visto coinvolti europarlamentari italiani, belgi e greci nel tentativo di sollecitare decisioni europee a favore del Marocco e del Qatar, è scoppiato quest’anno lo “Huawei-gate”. Come aveva fatto allora lo Stato del Golfo in vista dei Mondiali di calcio, anche la principale azienda cinese di telecomunicazioni, da inizio decennio in difficoltà a Bruxelles, ha cercato di influenzare le decisioni legislative europee attraverso regali cospicui, inviti a partite di calcio (vanta una tribuna privata nello stadio dell’Anderlecht), cene costose e viaggi in Cina fino ad arrivare a cellulari di propria fabbricazione, ben oltre i 150 euro consentiti per i regali a membri delle istituzioni europee. L'indagine della procura belga è partita due anni fa dopo una soffiata dei servizi segreti. 

Il versante italiano

Se nel “Qatar-gate” erano implicati soprattutto europarlamentari socialisti – Antonio Panzeri, Andrea Cozzolino, Marc Tarabella, Maria Arena, Eva Kaili e l’assistente parlamentare Francesco Giorgi – questa volta potrebbero essere coinvolti anche europarlamentari popolari. A cominciare dal capo delegazione di Forza Italia, Fulvio Martusciello. Giovedì, su mandato delle autorità belghe spiccato il 16 marzo, è stata arrestata a Marcianise e condotta nel carcere di Secondigliano, Lucia, detta Luciana, Simeone, 47 anni, originaria di Ercolano, da anni, in qualità di assistente parlamentare europeo, l'ombra del napoletano Martusciello, fedelissimo del ministro degli Esteri Antonio Tajani.

 

Non banali le accuse mosse nei confronti di Simeone: associazione a delinquere, riciclaggio e corruzione. Sono identiche a quelle delle altre persone coinvolte (una quindicina di europarlamentari e sette lobbisti), tra cui l’italo-belga Valerio Ottati, ex assistente parlamentare per due deputati che si occupavano di Cina e dal 2019 guida degli affari europei di Huawei. L'interrogatorio di garanzia di Simeone si terrà sabato, davanti al giudice Corinna Forte della Corte d'Appello di Napoli.

 

«Martusciello era uno che cambiava assistenti parlamentari in continuazione», raccontano fonti parlamentari: «Ma lei era lì da anni. Non si occupava né di file legislativi, né di stampa. Gli teneva però tutti i contatti, compresi i lobbisti, sia a Bruxelles sia nel napoletano dove era molto conosciuta». Era stata lei la principale organizzatrice dei “giorni di studio” passati a Napoli dal gruppo parlamentare dei popolari (EPP) lo scorso settembre. Martusciello non parla della vicenda, limitandosi a dire: «Non ho letto il mandato d'arresto. Non ho davvero idea».

 

Nell'ambito della stessa inchiesta, una settimana fa, era stato arrestato in Francia il lobbista portoghese Nino Wahnon Martins, accusato di veicolare le tangenti pagate da Huawei attraverso una sua società. A stare al suo account Linkedin, Martins lavora (almeno) dall'inizio del 2022 per Nostrum, una società di lobbying con sede sia a Bruxelles sia a San Paolo (Brasile) che, come spiega sul suo sito, «facilita le connessioni tra il settore pubblico e privato in Europa, Brasile e Cina».

La lettera del 2021 che "sembra redatta da Huawei stessa"

Vicino fin dall'inizio della sua carriera alle associazioni ebraiche pro-Israele, Martins ha per anni ricoperto incarichi di lobbista per diverse società private e per ong. Tra il 2015 e il 2019 aveva lavorato sia come “Direttore degli affari europei del Congresso degli ebrei europei” sia come “Consulente del presidente della delegazione del parlamento europeo per i rapporti con Israele” proprio nel momento in cui Martusciello rivestiva quella carica e Tajani era prima vicepresidente e poi presidente del parlamento europeo. Al tempo però la Cina era fuori dal campo di interessi del politico campano. Vi fa capolino nel 2021 quando, scriveva allora il sito Formiche.net, Martusciello, insieme ai colleghi dl Ppe Giuseppe Milazzo, Aldo Patriciello, Herbert Dorfman e al socialista Giuseppe Ferrandino, spediva una lettera alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e ai commissari Thierry Breton (Mercato interno), Margrethe Vestager (Concorrenza) e Valdis Dombrovskis (Commercio) per chiedere di porre fine alle decisioni arbitrarie per cui «ogni giorno sono esclusi dei fornitori» cinesi. Scrivevano: «La nostra sovranità digitale inizia fornendo ai cittadini europei la migliore tecnologia possibile, non con vaghi dibattiti protezionistici». Una lettera che, come commentano fonti parlamentari, «sembra redatta da Huawei stessa». L'appello alla Commissione era di permettere «a tutti i player dell’industria di godere dello stesso trattamento, senza discriminazione basata sulle loro origini (in altre parole, “razzismo tecnologico”), finché si adeguano ai criteri tecnici e basati sui fatti». Erano gli anni (2020-2022) in cui Washington chiedeva a Bruxelles di escludere Huawei e ZTE, i due grandi protagonisti cinesi delle telecomunicazioni, dai contratti europei per timori di spionaggio per conto di Pechino. In quel momento Bruxelles non li escluse ma pose prima alle Istituzioni europee e poi agli Stati membri dei criteri e dei paletti ben definiti. 

Cosa succede tra le istituzioni europee e il lobbying

L’Eurocamera sta facendo fatica e fermare la corruzione dilagante tra gli europarlamentari, tra i quali sono coinvolti alcuni italiani. Nel settembre 2023 aveva adottato un nuovo regolamento che vieta agli eurodeputati di partecipare ad attività di lobbying e impone loro di dichiarare le associazioni con soggetti esterni; ma, senza controlli e sanzioni, la corruzione continua indisturbata. Un blocco di legislatori di destra, a cui appartiene anche il gruppo di riferimento (i popolari europei) della presidente Roberta Metsola e di Forza Italia, ha infatti impedito la creazione di un organismo etico indipendente che possa prendere misure disciplinari contro gli europarlamentari corrotti.

 

Secondo i popolari, l’organismo potrebbe diventare una camera disciplinare incontrollata per i legislatori e così tra il 2023 e oggi il Ppe non solo ha rallentato la nomina degli esperti dell’organismo, ma ha anche votato insieme con i partiti di estrema destra per eliminare i finanziamenti a esso destinati. «Nessuna legge o nessun organismo etico sarà mai sufficiente a prevenire tutte le attività irregolari o addirittura criminali», ha insistito la settimana scorsa il rumeno Loránt Vincze, principale legislatore del Ppe nella commissione Affari costituzionali, che se la prende invece con le autorità belghe che hanno sigillato due uffici del Parlamento, perquisito una ventina di immobili tra Belgio, Francia e Portogallo: «È preoccupante che il “Qatar-gate” non abbia finora portato a nessuna incriminazione di eurodeputati, mentre la nuova indagine belga infanga ulteriormente la reputazione del Parlamento europeo».

 

Di certo il Ppe e Forza Italia sono rimasti silenti, senza infierire né commentare, quando meno di un mese fa gli inquirenti avevano chiesto la revoca dell’immunità anche per altre due parlamentari socialiste italiane in connessione con il “Qatar-gate”: Alessandra Moretti, considerata vicina al «sistema Panzeri» ed Elisabetta Gualmini, che si sono immediatamente dimesse dal gruppo in attesa dei risultati delle indagini.

 

Intanto però giovedì anche la potente lobby tecnologica europea DigitalEurope ha sospeso Huawei, dopo essere venuta a conoscenza delle «gravi accuse» contro Huawei: «Prendiamo molto sul serio la condotta etica negli affari e il rispetto della legge. Come misura precauzionale l'adesione di Huawei è stata sospesa fino a nuovo avviso», ha scritto in un comunicato.

La posizione di Huawei

Huawei, un tempo importante fornitrice delle istituzioni europee, negli ultimi anni è stata esclusa da molti contratti lucrativi per le infrastrutture 5G, a causa delle preoccupazioni sul rischio di interferenze indebite da parte di Pechino, come recentemente confermato dai portavoce della Commissione europea. Non solo. Progressivamente, anche molti Paesi europei hanno limitato il suo coinvolgimento nella costruzione delle loro reti o l’hanno esclusa completamente (in 12). Indagini sul lobbying scorretto e spionaggio per conto del governo cinese di Huawei sono in corso in Polonia, Francia e Serbia.

 

Per l’azienda cinese i rapporti commerciali in Europa sono diventati più difficili e ai suoi lobbisti è stato chiesto di fare ogni sforzo per mettersi in contatto con eurodeputati che potessero aiutarla a riconquistare parte dell’influenza perduta. Secondo il sito europeo “Politico”, nel 2020 un lobbista aveva addirittura chiamato l’allora commissario per il Mercato interno, Thierry Breton, sul suo numero personale in una telefonata che lo aveva indignato al punto da costringere l’azienda alle scuse.

 

La settimana scorsa, il Parlamento europeo ha vietato ai lobbisti di Hauwei iscritti al registro della Trasparenza (creato nel 2023, dopo lo scoppio del Qatargate, per rendere noti i nomi dei lobbisti che girano tra i corridoi) di entrare al suo interno per la durata delle indagini, ma rimane il dato che le forze politiche di maggioranza si rifiutano ancora di sradicare la corruzione dei loro membri, come sottolinea l’olandese Bart Groothuis dei liberali: «La credibilità della nostra istituzione è in gioco e dunque non servono “se” e “ma”. Servono misure definitive».

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