Mondo
25 marzo, 2025

Le anfetamine controllano ancora la Siria

Il commercio illegale di captagon ha arricchito il regime di Assad, ma ha anche finanziato gli islamisti oggi al potere. E non basta il cambio di regime per interromperne il traffico

Al termine di mezzo secolo di governo col pugno di ferro del clan Assad, la Siria è uno Stato economicamente fallito. Le casse sono vuote. «Nelle banche c’è lira siriana, carta senza valore, e questo è un problema serio» ha confermato Mohammed Abazeed, il nuovo ministro delle Finanze. Sanzioni non ancora del tutto rimosse, intere aree in macerie, infrastrutture distrutte, inflazione. Dopo la rivolta contro scoppiata 13 anni fa e sfociata in guerra civile, la Siria è oggi da ricostruire. Per la Banca Mondiale, il Pil è calato dell’84 per cento dallo scoppio delle prime rivolte contro il regime e la produzione giornaliera di barili di petrolio e derivati – prima della guerra il principale introito per lo Stato – è crollato dai 383mila del 2011 ai 40mila del 2023. L’unico business fiorente rimasto nella Siria degli Assad era il narcotraffico. Nelle settimane successive alla presa del potere, i nuovi governanti hanno mostrato ai giornalisti laboratori e montagne di pastiglie captagon rinvenute in ville private, edifici governativi, fabbriche e persino basi militari (come quella aerea di Masseh). Dando così l’idea della portata della sua produzione nelle aree controllate dal clan Assad. Fino alla messa al bando nel 1986, il captagon era il nome commerciale di un farmaco stimolante anfetaminico brevettato in Germania nel 1961, al centro di un’economia cresciuta al punto da far definire la Siria un narco-Stato affacciato sul Mediterraneo. Nel suo primo discorso alla nazione e al mondo, l’autoproclamatosi nuovo presidente della Siria Ahmad al-Sharaa ha dichiarato di voler scatenare una nuova guerra: quella alla droga. «Il dittatore ha lasciato che la Siria diventasse il più grande produttore di captagon della terra (…) ma adesso la Siria volta pagina e sarà purificata dalla grazia di Dio», ha tuonato il leader del gruppo integralista islamico Hayat Tahrir al-Sham (Hts), fino ad allora noto come Abu Mohammed al-Jolani. Il ruolo del clan Assad in questo business era noto da tempo anche in Occidente. Con il Captagon Act varato a fine 2022 dagli Stati Uniti e analoghe sanzioni emesse da Unione Europea e Regno Unito, sulle liste nere occidentali erano finiti anche due membri della famiglia presidenziale: Samer e Waseem al-Assad. Al centro del traffico di captagon persino il fratello minore dell’ex presidente siriano, Maher, capo dell’unità d’élite a protezione del regime.

 

Facile ed economico da sintetizzare, a fronte di un prezzo di produzione di soli 20 centesimi una pastiglia di captagon può essere venduta anche a 20 dollari. In grado di aumentare la concentrazione, riducendo fame e stanchezza, come un fiume in piena quelle pillole si erano così rapidamente diffuse durante la guerra in Siria facendo esplodere il loro consumo in tutta l’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa), avendo come principale destinazione l’Arabia Saudita. A causa del narcotraffico, diversi Paesi del Golfo Persico avevano stabilito lo stop persino alle importazioni di prodotti ortofrutticoli libanesi: le autorità saudite avevano trovato container pieni di melograni scavati al loro interno e riempiti con sacchetti contenenti 5,3 milioni di pastiglie di captagon mentre, il 10 marzo, hanno intercettato quasi un milione e mezzo di compresse captagon nascoste in dei condizionatori d’aria. Il giorno dopo l’unità antidroga siriana ha bloccato 100mila pillole al confine con la Giordania. Proprio il 26 febbraio, il presidente siriano Al-Sharaa si era recato ad Amman promettendo al re Abdullah II di Giordania maggiore cooperazione contro il narcotraffico. Intere sezioni del confine tra i due Paesi sono controllate da Ahmad Al-Awda, ex ribelle anti-Assad della provincia di Daraa accusato di traffico di droga e contrabbando, definito “l’uomo russo nel Sud della Siria” per l’accordo di integrazione della sua milizia nell’ottava brigata del regime, che faceva parte del quinto corpo appoggiato dalla Russia.

 

«Secondo i report di intelligence, i guadagni per il regime derivati dal commercio del captagon sono passati dai circa 5 miliardi di dollari dei primi anni, ai 20-30 miliardi del 2021», ricorda a l’Espresso Franco Posa, esperto di medical intelligence e Direttore Scientifico dell’istituto di Ricerca NeuroIntelligence di Varese. Per avere un termine di paragone, nel 2023 il bilancio dello Stato siriano era pari a 2,3 miliardi di dollari. Uno degli ultimi rapporti sulla crisi dei narcotici in Medio Oriente e il ruolo del regime degli Assad, finanziato dal governo del Regno Unito, è stato diffuso nel giugno 2023 dall’Observatory of Political and Economic Networks. Grazie alle proprie fonti interne, oltre ai “laboratori di regime”, i ricercatori autori di quello studio hanno «identificato un sito produttivo nel governatorato di Idlib di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) e quattro nel territorio dell’Esercito Nazionale Siriano (Sna) sostenuto dalla Turchia». Ovvero nelle aree controllate dai nuovi governanti della Siria. Per Franco Posa «non è sorprendente: il traffico di captagon genera profitti enormi e per Hts non è solo una fonte di finanziamento, ma anche uno strumento per mantenere il controllo». 

 

Le dichiarazioni contro il captagon del presidente Sharaa, per Franco Posa «potrebbero rappresentare un tentativo di rafforzare la legittimità internazionale di Hts e ottenere un allentamento delle sanzioni. Oppure un’operazione di facciata per guadagnare tempo, mentre la produzione viene delocalizzata o nascosta». Se i nuovi governanti della Siria hanno mostrato al mondo l’incenerimento di “un milione di pastiglie di captagon”, non è stata ancora diffusa alcuna immagine della distruzione dei laboratori che lo producono. «Il traffico di captagon – conclude Posa – è anche un’arma politica. Il regime lo utilizzava per esercitare pressione sui Paesi del Golfo e porre fine al suo isolamento internazionale. Smantellare questa industria richiede molto più che proclami: servono alternative economiche. E in questo momento non ci sono».

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