Fermato nel suo ufficio di direttore, portato in carcere, condannato a 9 anni per riciclaggio di denaro. Un processo a porte chiuse. Niente avvocato, nessuna prova a discarico. Chiuso in una cella di due metri quadrati per 545 giorni. Senza finestre e senza luce, un buco per terra come bagno. Alla fine, deportato a forza negli Usa. Espulso dal suo Paese. È indesiderato. Un traditore. Oggi è senza nazionalità e cittadinanza. Si ritrova di colpo apolide.
In questi foschi periodi in cui la libertà di stampa è messa a dura prova in gran parte del mondo, la storia di Juan Lorenzo Holmann, 55 anni, diventa esemplare di una battaglia che rischia di compromettere il pensiero, la scrittura, la lettura, il nostro modo stesso di trasmettere conoscenza e verità. Anche le più scomode ma le uniche che accrescono la nostra coscienza critica. Direttore de “La Prensa”, il più antico e diffuso quotidiano del Nicaragua, fondato nel 1926, questo rampollo di una delle famiglie più note del piccolo Paese centro americano si è visto assegnare il Premio Mondiale per la libertà di Stampa da parte dell’Unesco, l’organizzazione Onu per l’educazione, la scienza e la cultura. Il riconoscimento è andato al giornale da lui diretto negli ultimi dieci anni, diventato paladino di una dissidenza messa a tacere con il carcere e l’esilio da Daniel Ortega e Rosario Murillo, la coppia di ex guerriglieri trasformati in satrapi per un potere che non mollano dal 2007.
La scelta ha fatto infuriare i due dittatori. Soprattutto lei, la donna che da sempre accompagna il vecchio e mitico combattente del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (Fsln) e che nei fatti è diventata la vera mente e voce del regime. Colta da uno scatto di rabbia insolito che ha poi sfogato in un comunicato di fuoco, Rosario Murillo ha ricordato che: «La Prensa rappresenta un tradimento della nazione, proprio perché è un organo di stampa che ha promosso e sostenuto la violenza, interferenze, crimini d’odio, crudeltà, anti cultura e anti valori nel corso della sua storia». Ma la co-presidente, carica ufficiale che le è stata attribuita dal marito, è andata oltre: ha rotto le relazioni con l’Unesco decretando l’uscita del Nicaragua dall’Onu. Per il governo di Managua non ci sono attenuanti: «Il riconoscimento è una mostruosità diabolica».
Tanta veemenza anche mistico-religiosa ha sorpreso la direttrice dell’Unesco, la francese di origini marocchine Audrey Azoulay, già ministra della Cultura del governo Hollande, una chiara formazione di sinistra. «Mi rammarico di questa decisione», ha detto l’alta rappresentante Unesco. «Priverà il popolo del Nicaragua dei benefici della cooperazione, soprattutto nei settori dell’istruzione e della cultura». La motivazione del premio ricorda come La Prensa ha continuato a impegnarsi per «portare la verità alla gente» nonostante la «dura repressione» a cui è stata sottoposta. Yasuomi Sawa, presidente della giuria internazionale dei professionisti dei media, ha aggiunto come «il giornale è costretto all’esilio ma mantiene coraggiosamente viva la fiamma della libertà di stampa». Vero cane da guardia del potere, lo storico quotidiano ha lottato contro il dittatore Anastasio Somoza, ha subito tre momenti di forte censura con sequestro delle linotype e delle balle della carta per stampare. Ha sostenuto e anche finanziato la guerriglia dei sandinisti. Ma con i ricavati delle vendite ha pubblicato oltre 100mila abbecedari che costituirono, nel 1963, la spina dorsale della campagna nazionale di alfabetizzazione. Ha resistito a un terremoto, a due incendi, un’alluvione. Uno dei direttori più celebri, Pedro Joaquìn Chamorro Cardenal, nel 1952 subì l’assalto dei locali del giornale da parte delle squadracce di Somoza e le torture che i suoi sgherri gli inflissero prima di rilasciarlo. Certo, seguirono anni più oscuri e incerti, con finanziamenti ai Contras e coperture alle operazioni della Cia per contrastare la guerriglia dei sandinisti che sono valse al quotidiano critiche pungenti e condanne morali. Tempi diversi con proprietà diverse.
La Prensa è rimasta sempre un punto di riferimento della libertà di stampa in Nicaragua fino al 12 agosto del 2021, quando subisce il colpo più duro: Daniel Ortega ordina il sequestro dei locali, dei macchinari e della carta e congela tutti i fondi. Da quel momento inizia l’incubo di Juan Lorenzo Holmann. Il quotidiano smette di uscire, il suo direttore, i suoi vice e i capiredattori sono messi in carcere. Qualcuno riesce a fuggire. I redattori sono costretti a nascondersi. Trovano e pubblicano le notizie sul sito e l’edizione online. Ma la repressione è durissima. La maggior parte delle maestranze deve sconfinare nel vicino Costa Rica che già ospita decine di migliaia di perseguitati e dissidenti. La Prensa ha avuto un ruolo decisivo nella rivolta popolare del 2018 quando l’intero Nicaragua scese in piazza. Ci furono centinaia di morti e migliaia di feriti. La coppia Ortega-Murillo non lo ha scordato. Mentre si accanivano sulle scuole e chiudevano la più prestigiosa università del Continente, mentre cacciavano tutte le Ong dal Paese e se la prendevano persino con il clero accusato di non sostenere il regime, i due dittatori hanno sferrato il colpo di maglio decisivo alla libertà di stampa. «Prima eravamo in 400 – ci spiega il direttore Holmann – senza contare le agenzie di distribuzione, la raccolta pubblicità e le edicole a noi collegate. Oggi siamo ridotti a 50. La redazione di 125 giornalisti è garantita da 18 veri eroi. Tutti sono impegnati al massimo, lavorano dal Messico, dagli Usa, dal Costa Rica. È solo grazie a loro se continuiamo ad andare avanti. Lavorare dall’esilio è triste e quasi impossibile. Abbiamo dovuto reinventarci. Ogni giorno i pochissimi rimasti rischiano il carcere. Ma resistiamo. Siamo una debole luce della libertà di stampa. Riusciamo ancora a bucare il mantello nero in cui è avvolto il Nicaragua».