Le terre di Gaza e Cisgiordania sono l’obiettivo di Israele. Ma solo la soluzione “due popoli, due Stati” può permettere una convivenza. Parla il deputato che si oppone a Netanyahu

Non c’è pace se non fermi l’occupazione - Colloquio con Ayman Odeh

Siete persone deboli. Molto, molto deboli. Dopo un anno e mezzo di guerra in cui avete ucciso 19.000 bambini, 53.000 abitanti e avete distrutto tutte le università e gli ospedali, per voi non c’è alcuna vittoria politica. Perché state impazzendo? Perché siete deboli? Perché siete tristi? Perché non c’è alcuna vittoria politica». È con queste parole che Ayman Odeh, deputato della Knesset, si è rivolto alla maggioranza parlamentare che sostiene il governo Netanyahu, prima di essere allontanato a forza dall’aula.

 

Non è la prima volta che Odeh attacca il primo ministro. Lo scorso 19 novembre lo aveva attaccato con parole simili: «Signor Netanyahu, qual è la sua visione? Da oltre 30 anni è un serial killer della pace». Parallelamente, Odeh ha condannato a più riprese i crimini compiuti da Hamas il 7 ottobre, dichiarando di «rifiutare categoricamente gli appelli di Hamas affinché i cittadini palestinesi si uniscano ai combattimenti contro Israele».

 

Il suo attivismo politico, però, non si è limitato all’aula della Knesset. Nel 2017, durante una manifestazione contro la demolizione del villaggio beduino di Umm al-Hiran nel Sud di Israele, fu ferito alla testa da un proiettile di gomma sparato dalla polizia israeliana. Cinquantenne, nato e cresciuto ad Haifa, Odeh guida dal 2015 il partito Hadash, con cui è stato eletto parlamentare per ben sei volte consecutive. Nato nel 1977 dall’unione del Partito Comunista Israeliano con altri movimenti di sinistra, Hadash ha sempre sostenuto la piena uguaglianza tra arabi ed ebrei, il ritiro israeliano da tutti i territori occupati dopo il 1967 e la creazione di uno Stato palestinese. Fino a oggi, Hadash ha sostenuto dall’esterno un solo governo: quello guidato da Yitzhak Rabin, firmatario degli Accordi di Oslo nel 1993.

 

Grazie a queste posizioni radicali e al carisma di Odeh, Hadash è riuscito a ritagliarsi uno spazio nel panorama politico israeliano, soprattutto tra i palestinesi con cittadinanza israeliana, circa il 21 per cento della popolazione. Nelle ultime elezioni del 2022, il partito ha ottenuto quattro seggi, nonostante l’innalzamento della soglia di sbarramento che penalizza i partiti arabi, e oggi rappresenta una delle due uniche forze politiche di opposizione sedute alla Knesset. «Stiamo attraversando il momento più difficile della nostra storia. Quello che sta accadendo a Gaza è peggio della Nakba del 1948. Il governo israeliano di Netanyahu ha sfruttato la tragedia del 7 ottobre come pretesto per uccidere più palestinesi possibile e per distruggere in maniera irreversibile la causa palestinese», ammette Odeh. «Netanyahu sta continuando la guerra per la sua sopravvivenza politica. In questo senso, l’elezione di Donald Trump ha rappresentato una sorta di via libera per realizzare ciò che il governo israeliano ha sempre perseguito: le espulsioni forzate presentate come migrazioni volontarie. Allo stesso tempo, solo il presidente Trump è capace di premere diplomaticamente nei confronti del governo Netanyahu per un cessate il fuoco temporaneo».

 

Tuttavia, nonostante la recente proposta di cessate il fuoco di 60 giorni avanzata dagli Stati Uniti, Hamas ha rifiutato l’accordo, facendo notare la mancanza di garanzie per una conclusione definitiva del conflitto e manifestando timori circa la possibilità che Israele violi unilateralmente l’intesa, come già accaduto in passato. «È evidente che il governo sta colpendo Gaza con l’obiettivo, in parallelo, di preparare l’annessione della Cisgiordania», afferma Odeh. «Figure di spicco dell’esecutivo, come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, considerano i territori palestinesi parte integrante di Giudea e Samaria, secondo la visione dei testi sacri ebraici. Il loro intento è quello di annettere sia Gaza sia la Cisgiordania, impedendo così la nascita di uno Stato palestinese».

 

Recentemente, il governo israeliano ha approvato la costruzione di ventidue nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata, in chiara violazione del diritto internazionale. Peace Now, un’organizzazione pacifista israeliana anti-insediamenti, ha definito l’iniziativa «la più vasta del suo genere» degli ultimi 30 anni e ha avvertito che «trasformerà radicalmente la Cisgiordania e radicherà ancora di più l’occupazione». Dal canto suo, il ministro della Difesa, Israel Katz, ha commentato la decisione sottolineando che questa «blocca la nascita di uno Stato palestinese che rappresenterebbe una minaccia per Israele».

 

Secondo Odeh, il problema di fondo è che la società israeliana non ha una reale intenzione di raggiungere la pace. «Quando c’è una volontà autentica, tutti gli ostacoli possono essere superati. I sondaggi confermano che, dopo tutto il sangue versato, sarà estremamente difficile per israeliani e palestinesi convivere in un unico Stato. È per questo che la soluzione dei due Stati rimane l’unica percorribile». Per Odeh, la società israeliana sta attraversando una crisi profonda. «Gran parte di coloro che protestano contro il governo raramente esprimono solidarietà al popolo palestinese o si oppongono all’occupazione. Rispetto queste manifestazioni, ma il messaggio fondamentale che deve emergere è che la causa profonda di tutto ciò che sta accadendo è l’occupazione». Inoltre, sottolinea Odeh, bisogna «porre fine a tutto il sostegno militare, finanziario e diplomatico ai crimini di guerra del governo Netanyahu. L’elemento che sta influenzando maggiormente il governo israeliano è la pressione internazionale, in particolare da parte di Paesi come Francia e Regno Unito, che ha un impatto su quanto avviene a Gaza. Anche in Italia, le proteste nelle piazze hanno un ruolo importante».

 

Un primo segnale, seppure debole e tardivo, è arrivato dalla Commissione europea, che ha deciso di avviare una revisione dell’accordo di associazione tra l’Unione Europa e Israele. «Serve la fine della guerra e il riconoscimento del fatto che, su questa terra, vivono due popoli. È necessario trovare una soluzione fondata sull’uguaglianza e sulla fine dell’occupazione», afferma Odeh. Nel frattempo, dopo oltre due mesi di blocco degli aiuti umanitari, la ripresa della distribuzione da parte della Gaza Humanitarian Foundation, con il supporto di Israele e degli Stati Uniti, si è trasformata in una tragedia. Le Nazioni Unite hanno denunciato il rischio di carestia, mentre Oxfam accusa l’esercito israeliano di portare avanti una campagna di sfollamento forzato, costringendo oltre due milioni di civili a concentrarsi su meno del 20 per cento del territorio della Striscia.

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