La zona del Sudest asiatico, un tempo nota per la produzione dell’oppio, oggi ospita “scam city” che fioriscono solo per alimentare il business dei raggiri online. Come racconta il libro di due reporter

Nelle città-truffa che hanno corrotto il triangolo d’oro

C’era una volta il triangolo d’oro, un territorio chiuso in un’ansa del Mekong dove s’incrociano i confini di Laos, Thailandia e Birmania, che per decenni è stato il più profondo cuore di tenebra del Sudest asiatico. Il papavero da oppio cresce bene nel suolo alcalino, mentre le foreste, un sistema di potere tribale, corruzione delle autorità e povertà delle popolazioni coinvolte hanno creato un ecosistema perfetto per il traffico di droga e le economie criminali.

 

“Asia Criminale”, il libro che ho scritto col collega Emanuele Giordana, comincia proprio là. All’inizio era solo un’idea, quasi romantica, di due reporter che avevano frequentato quell’area quando ancora non era un’attrazione turistica, con tanto di cartello “Golden Triangle” che campeggia su un portale dorato su una terrazza affacciata sul Mekong dal lato thailandese del fiume, di fronte a un mercatino di bancarelle che vendono “autentiche riproduzioni” delle pipe da oppio.

 

Era un punto zero da cui partire per iniziare un lavoro sui “Cuori di Tenebra” del Sudest asiatico. “Cuori di Tenebra” avevamo pensato di intitolare questo libro: perché siamo viaggiatori letterari e non riusciamo a sottrarci al richiamo di Conrad. 

 

Col passar del tempo il Triangolo d’Oro si è moltiplicato su tutto il Sudest asiatico. Ha composto per clonazione un super triangolo, un Nuovo Triangolo d’Oro. Il vertice Sud è a Singapore, l’angolo a Nordovest nel Rakhine birmano, quello a Nordest nel golfo del Tonchino, sul mar della Cina meridionale. La bisettrice del triangolo attraversa la Thailandia. Una tela di ragno che si dirama in Thailandia, Cambogia, Laos, Myanmar, Vietnam, la provincia cinese dello Yunnan e il Bangladesh. All’interno troviamo quelle che lo United States Institute for Peace chiama Special Criminal Zones, che spesso si sovrappongono alle Special Economic Zones, enclavi cinesi all’interno di altre nazioni, progettate dagli strateghi della Belt and Road Initiative. Concepite dal governo di Pechino come un immenso network.

 

In queste zone sono sorte come metastasi le Scam City, le città della truffa: un business dove sono impiegate centinaia di migliaia di persone, che vale miliardi di dollari. Il nome, tanto più in italiano, non restituisce la violenza del crimine che vi è perpetrato. La perversione di ciò che si compie, invece, è ben espressa dalla definizione dello schema fraudolento più diffuso: pig butchering. Anche questo, “la macellazione dei maiali”, avevamo pensato potesse essere un buon titolo. Come maiali all’ingrasso, le vittime sono indotte al gioco, intrappolate in qualche meccanismo finanziario, spolpate di ogni loro bene. Sono vittime anche i truffatori: decine di migliaia di schiavi informatici reclutati con l’inganno, torturati se non raggiungono gli obiettivi assegnati, uccisi se tentano di fuggire. Vivono in alveari all’interno delle Scam City, microcittà che a volte comprendono anche un casinò, bordelli e alberghi. Sorte soprattutto lungo i confini di Birmania e Laos, si sono diffuse come una pandemia; e ogni volta che ne viene chiusa una, si spostano altrove. In quella che è definitivamente “Asia Criminale”.

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