Il 7 ottobre 2023, mentre infuriavano i primi scontri tra Hamas e Israele, Yasser Abu Shabab si trovava dietro le sbarre di una prigione controllata da Hamas a Gaza con l’accusa di furto e traffico di stupefacenti. Poco dopo l’inizio dei bombardamenti israeliani, il 31enne palestinese di Rafah è riuscito a fuggire – o è stato rilasciato – in circostanze ancora avvolte nel mistero. Per mesi si sono perse le sue tracce, fino a quando non è ricomparso nelle scorse settimane, armato di fucile Ak-47 (kalashnikov), al comando di una gruppo di uomini che si fa chiamare “Forze Popolari” (FP) o “Servizio Antiterrorismo”.
La milizia di Abu Shabab nasce da un’operazione pianificata sei mesi fa dallo Shin Bet, l’agenzia israeliana per la sicurezza interna, e direttamente approvata dal primo ministro Benjamin Netanyahu in persona. Obiettivo principale ridurre le vittime militari israeliane, indebolire Hamas e proteggere i camion di aiuti umanitari dai saccheggi. Gli uomini di Abu Shabab hanno poi ricevuto addestramento specialistico da istruttori dello Shin Bet e sono stati armati con fucili d’assalto e pistole, in gran parte sequestrati a Hamas dall’esercito israeliano.
Per ora, la milizia opera nella parte orientale della città di Rafah e conterebbe su 200-300 uomini circa, molti dei quali, tra cui lo stesso Abu Shabab, fanno parte di un clan all’interno della tribù beduina dei Tarabin, nota principalmente per la sua importante rete commerciale nella penisola del Sinai e per i traffici illeciti di beni e risorse lungo il confine tra l’Egitto e la Striscia di Gaza. Tra i membri ci sarebbero anche alcune persone legate all’Isis, come sottolineato dall’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman, avversario politico di Netanyahu.
Raggiunto via mail, Abu Shabab ha accusato Hamas di corruzione e di utilizzare gli aiuti umanitari per rafforzare il proprio potere finanziario, smentito le accuse di saccheggio e sottolineato come il suo gruppo di uomini sia impegnato a sorvegliare i camion di aiuti durante l’attraversamento del valico di Kerem Shalom. «Non siamo combattenti professionisti né una milizia, ma volontari provenienti dal popolo per proteggere gli aiuti umanitari da saccheggi, corruzione e furti organizzati. Il caos e i disordini nella distribuzione degli aiuti sono colpa di Hamas», dice. «Il nostro ruolo nella Striscia di Gaza è strettamente popolare e umanitario».

Ciononostante, in una intervista al New York Times del novembre 2024, Abu Shabab ha rivelato che i suoi uomini avevano saccheggiato diversi camion di aiuti umanitari all’inizio della guerra, spiegando che l’obiettivo era quello di mangiare e non di rivendere gli aiuti. In risposta alle domande scritte, Abu Shabab ha ripetutamente negato di ricevere sostegno militare israeliano e tantomeno di lavorare in coordinamento con l’Idf. «Le nostre attrezzature sono molto rudimentali, tramandate da famiglie o realizzate localmente con risorse semplici. Le nostre forze non comunicano in alcun modo con l’esercito israeliano, né direttamente né indirettamente. Siamo una forza popolare indipendente, con l’obiettivo di proteggere i civili e combattere la corruzione e il terrorismo nella nostra società. Non riceviamo stipendi, solo modeste donazioni da parte di cittadini sinceri. Non siamo agenti di nessuno, né lo saremo mai». Il nostro obiettivo principale è servire il nostro popolo e garantire che gli aiuti arrivino a chi ne ha bisogno».
Tuttavia, queste affermazioni contrastano con le dichiarazioni ufficiali dei funzionari della difesa israeliana, che la scorsa settimana hanno confermato di aver fornito armi agli uomini di Abu Shabab per minare il potere di Hamas. Inoltre, alcuni video diffusi sui social media mostrano membri del gruppo di Abu Shabab operare fianco a fianco dei soldati israeliani nelle zone del Sud di Gaza sotto il controllo dell’Idf. Soprannominato l’“agente israeliano” e visto come un traditore, Abu Shabab è stato più volte minacciato di morte da Hamas. Negli ultimi mesi Hamas ha ucciso 50 combattenti della milizia di Abu Shabab e in almeno un’occasione le truppe israeliane sarebbero intervenute per proteggere la milizia. «Non siamo un’alternativa allo Stato, né parte di alcun conflitto politico. Siamo semplicemente con il popolo palestinese», dice Abu Shabab. Tuttavia, la sua ascesa all’interno della Striscia di Gaza potrebbe scatenare una violenta guerra civile con Hamas e con altri clan rivali, specialmente mentre l’attenzione mondiale è concentrata altrove.

Inoltre, come fa notare l’editorialista di Haaretz, Zvi Bar’el, di fronte a uno svantaggio numerico Abu Shabab potrebbe essere spinto a formare alleanze con altri gruppi armati, con il rischio che la milizia diventi un “esercito parallelo” all’interno della Striscia e che un giorno possa andare contro gli interessi stessi di Tel Aviv che l’ha creata. «L’amara esperienza a Gaza – e oltre – insegna che tali milizie hanno le loro dinamiche e l’obbedienza non ne fa parte», sottolinea l’analista israeliano. «È incredibile che qualcuno che aveva saccheggiato convogli di aiuti umanitari venga incaricato di proteggere i convogli di aiuti umanitari, per conto di Israele», prosegue. «Israele sogna di creare la versione di Gaza dell’Esercito del Libano del Sud, una milizia etnicamente mista, a maggioranza cristiana, che ha collaborato con le Forze di Difesa israeliane per quasi 25 anni. Tuttavia, potrebbero aver dimenticato che accanto alla fazione filo-israeliana, dalle ceneri della guerra civile è emerso Hezbollah».