La repressione continua nel silenzio mediatico. Perché negli equilibri globali Ankara pesa sempre di più. “Noi una democrazia, è l’opposizione a essere violenta”

Erdogan stringe la sua morsa sulla Turchia

Dopo l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu e le proteste che si sono scatenate in tutta la Turchia, sul Paese a cavallo fra Europa e Asia è calato il silenzio mediatico, ma la repressione non è certamente finita. Soltanto nelle ultime settimane ben nove sindaci, tutti appartenenti al Partito Popolare Repubblica (Chp), il partito di opposizione di İmamoğlu, sono stati arrestati. Le accuse sono le più disparate, ma quella ricorrente sarebbe la corruzione e l’aver distratto soldi pubblici. Dopo aver decapitato tutte le amministrazioni non controllate dal partito di Erdoğan, adesso la magistratura ha avviato un’indagine sulle presunte minacce del Segretario del Chp Özgür Özel nei confronti del procuratore di Istanbul Akin Gürlek. La procura della città ha anche avviato un’indagine d’ufficio contro il Chp per i reati di “minaccia a un ufficiale giudiziario per impedirgli di svolgere il suo dovere” e “insulto aperto a un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni”. Özel sarebbe indagato per quello che ha detto in una manifestazione ed è stato accusato dal ministro della Giustizia Yılmaz Tunç di fomentare odio. Il procuratore Gurlek, secondo l’opposizione, sarebbe un burattino nella mani di Erdoğan con una mentalità corrotta. Il governo ha negato qualsiasi tipo di interferenza nel lavoro della magistratura, ma in Turchia fare opposizione è diventato impossibile. Quello che possiamo definire come fronte interno turco è in ebollizione da mesi e il sultano sta cercando di frenare l’emorragia dei suoi consensi, da un parte aumentando i sussidi ai fedelissimi, dall’altra strangolando ogni voce dissonante.

 

Mehmet Kemal Bozay è il viceministro degli Esteri della Turchia e vanta una lunga carriera come diplomatico. Riveste il ruolo di Direttore per gli Affari dell’Unione Europea, ma si occupa anche di Medio Oriente. «La Turchia resta un candidato credibile e affidabile per l’Unione Europea. Noi crediamo nei valori europei, ma vogliamo che la legge venga rispettata. L’opposizione è scesa in piazza in maniera violenta e cercando di attirare l’attenzione internazionale. Tutto per tentare di insabbiare le irregolarità dell’ex sindaco di Istanbul. Il giudice Gurlek è un magistrato che fa soltanto gli interessi del popolo turco. İmamoğlu dovrà rispondere delle sue accuse in uno specifico processo: in Turchia non prendiamo alla leggera chi attacca lo Stato». La proiezione estera di Ankara è sicuramente cresciuta in questi anni, ma nonostante l’abile propaganda governativa i risultati sul campo disegnano un Paese che si atteggia a grande potenza senza realmente esserlo, utilizzando soprattutto le minacce, come con l’Europa. «Io mi occupo da molti anni dei rapporti fra Turchia e Unione Europea e siamo delusi per i continui rallentamenti alla nostra adesione. La Turchia è una democrazia compiuta e credere che ci siano persecuzioni nei confronti dell’opposizione significa prendere una posizione politica. Noi siamo entrati come membro osservatore nei Brics perché l’Europa non vuole accettarci, ma siamo pronti a tornare a parlare con Bruxelles. Non si tratta di un ricatto, ma di capire chi vuole davvero lavorare con la Turchia. Il nostro presidente è un grande leader, l’unico che viene riconosciuto da tutti come nel caso delle trattative fra Russia e Ucraina. Noi ci siamo messi a disposizione per raggiungere un cessate il fuoco e il primo incontro è stato positivo, ma certamente non potevamo aspettarci di più. Il ministro Hakan Fidan sta lavorando per un nuovo meeting e siamo ottimisti. Il nostro impegno internazionale è anche per Gaza, dove deve finire l’occupazione israeliana, lavoriamo a stretto contatto con Egitto e Giordania per far terminare il massacro del popolo palestinese che non abbiamo nessuna difficoltà a definire un genocidio. Alla fine di giugno abbiamo convocato a Istanbul un incontro con i ministri degli esteri dell'Organizzazione per la cooperazione islamica (Oic), tutti dobbiamo lottare per la Palestina».

 

Una ricerca spasmodica di essere al centro del palcoscenico internazionale, ma senza una reale voce in capitolo, giocando al massimo il ruolo di sede neutrale per gli incontri fra Russia e Ucraina e minacciando Israele senza avere il coraggio di rompere i rapporti. Per la Turchia è andata un po’ meglio in Siria, dove però Tel Aviv minaccia di estendere la sua influenza, male invece in Libia dove è dovuta scendere a patti con l’odiato generale Haftar. «Il nostro impegno con il nuovo governo della Siria è costante e abbiamo già firmato un accordo di cooperazione militare. Stiamo costituendo una forza congiunta con la Giordania e l’esercito siriano per combattere lo Stato Islamico. Questo significa che l’Occidente non avrà più bisogno dei terroristi curdi dell’Ypg per combattere gli islamisti e il governo siriano deve rompere ogni accordo con questi criminali. Persino gli Stati Uniti stanno interrompendo i rapporti con questi miliziani che sono una forza terroristica come il Pkk. La Libia rimane un altro nodo internazionale e noi rinnoviamo l’appello per la formazione di un governo unitario in Tripolitania e Cirenaica. Servono elezioni per un nuovo esecutivo che rappresenti tutti i libici, questa spaccatura ha gravemente danneggiato il Paese. Noi parliamo regolarmente con la Russia, mentore del governo di Tobruk e con i nostri partner libici a Est. La nostra priorità negli ultimi cinque anni è stata evitare il confronto militare tra Est e Ovest e siamo pronti a lavorare anche con il generale Haftar che ha inviato il figlio Saddam in Turchia per firmare una serie di accordi economici e militari».

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Stati Uniti d'Europa - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 11 luglio, è disponibile in edicola e in app