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15 luglio, 2025Nessuno di quei 27 è abbastanza grande e potente per fare fronte a uno scenario geopolitico dominato da super-Stati. Mai come adesso l'Europa è stata tanto contestata e tanto necessaria
Vladimir Putin non intende lasciare la presa sull'Ucraina. Anzi, rilancia, fomentando incidenti tecnici, assalti digitali e scontri politici in Europa, esattamente come aveva fatto per anni prima dell’aggressione. Donald Trump, rimuove la certezza dell'assicurazione militare all'Europa, ne insulta i leader (patetici, incapaci, approfittatori) e ne piccona con dazi unilaterali la prosperità economica. Benjamin Netanyahu, sfruttando il giusto senso di colpa europeo per l'Olocausto, sta demolendo impunito non solo un popolo ma anche quei valori che sono stati la ragione di nascita dell'Unione europea. Recep Tayyip Erdogan, uomo di Trump nella Nato, sta eliminando fisicamente ogni minaccia al suo dominio politico sotto gli occhi spenti degli europei. Dall'altra parte del mondo, Xi Jinping conta i giorni all'invasione coi carri armati di Taiwan e coi veicoli elettrici dell'Europa.
Questa è la realtà geopolitica in cui si svegliano ogni mattina 27 piccoli Paesi, con alle spalle un passato tanto grande quanto doloroso. E mentre si stropicciano gli occhi per affrontare un presente sempre più sfuggente, si rifiutano di guardare in faccia un futuro che, se sottovalutato, potrebbe offrire solo due scelte: vendersi o arrendersi. Nessuno di quei 27 è abbastanza grande e potente per fare fronte a uno scenario geopolitico dominato da super-Stati che hanno seppellito le istituzioni internazionali e lo Stato di diritto creati nel secolo scorso e adottato la legge del più forte come strumento per regolare ogni controversia. Nessuno degli innumerevoli sovranismi nazionali branditi dai partiti di estrema destra in quelle mini-nazioni sarà in grado di riportare in Patria la produzione, fermarne il surriscaldamento climatico, arrestare lo spopolamento demografico, sollevare o imporre dazi, creare giganti tecnologici e obbligare un dittatore a deporre le armi. Sovranismo e debolezza sono antitetici. E ciascuno dei 27, da solo, è destinato a restare irrimediabilmente debole. «Mai come adesso l'Europa è stata tanto contestata e tanto necessaria», dice Sandro Gozi, eurodeputato liberale italiano in squadra francese: «La risoluzione di tutte le questioni sul tavolo oggi richiede un'Europa federale». «I nostri governanti sono dei sonnambuli a non rendersi conto che, senza il salto nell'integrazione, l'Europa non ha un futuro», gli fa eco il socialdemocratico Brando Benifei.
Integrazione europea inceppata
Invece in questo momento l'Europa è bloccata: il meccanismo di convergenza si è inceppato. In alcuni casi stiamo tornando indietro: abbiamo infangato Schenghen, permettendo la reintroduzione dei controlli alle frontiere per non fare perdere la faccia ai governi che hanno fatto della lotta all'immigrazione il carburante della propria sopravvivenza politica. E di fronte a chi è forte davvero, ci siamo rifiutati di usare l'unica vera arma che avevamo, quella di una fiorente unione commerciale, accettando condizioni economiche capestro, perché timorosi della nostra impotenza-dipendenza tecnologica e militare. Viviamo nel più grande iato di tempo dagli anni Cinquanta in cui non abbiamo messo mano ai Trattati dell'Unione per approfondirla e renderla più efficace. Nel Consiglio europeo, l'organo decisionale che assomma i leader dei 27, non c'è accordo, in troppi guardano al ritorno politico a breve, ignorando consapevolmente il baratro che si apre davanti. E finiscono per sprecare i passi in avanti fatti dopo il Covid con l’indebitamento comune.
«Dobbiamo preparare le menti dei cittadini ad accettare le soluzioni europee combattendo ovunque non solo le pretese di egemonia e la convinzione di superiorità, ma anche le ristrettezze del nazionalismo politico, del protezionismo autarchico e dell'isolazionismo culturale», scriveva il 9 maggio 1950 l'ex tedesco diventato francese a 32 anni, Robert Schuman, nella dichiarazione con cui presentò la proposta della Comunità del carbone e dell'acciaio, le terre rare di inizio secolo scorso. Quelle che fomentavano guerre e ricchezza. Dalla sua parte aveva il tedesco Konrad Adenauer, che aveva conosciuto le prigioni naziste, e l'italiano Alcide De Gasperi, cresciuto nell'impero austroungarico: tutti e tre nati in una realtà politica e morti in un'altra, con il tedesco come lingua comune e la consapevolezza che solo con l'Unione gli europei avrebbero smesso di farsi la guerra e sarebbero potuti diventare potenza. La perdita della piena sovranità nazionale avrebbe creato un'identità duratura: l'integrazione europea rappresentava insieme il bene comune più improbabile e anche il più indispensabile.
Un'unione della Difesa fu la prima idea di un'Europa unita
Non a caso una delle prime istituzioni che gli statisti di allora cercarono di creare fu la Comunità europea della difesa, con un esercito comune finanziato direttamente dalle tasse di tutti gli europei, integrata perfettamente nella nascente Nato. Quel trattato riuscì a essere siglato dai sei Stati di allora il 27 maggio 1952 ma non venne mai ratificato dai Parlamenti di Italia e Francia, rimanendo carta morta per quasi un secolo. Un secolo di ricostruzione, globalizzazione e pace. Oggi, con la guerra fisica ai confini d'Europa e quella digitale già all'interno, la discussione riparte da dove è stata interrotta. Trump ha appena dimostrato che si può creare un'unione economica forte quanto si vuole (e la nostra non è nemmeno compiuta) ma se non si è in grado di rivendicarla e difenderla contro i super-Stati allora non si riuscirà mai a garantire una prosperità sicura e una pace stabile. «L'Europa è sempre avanzata in tempi difficili e noi ci troviamo in tempi difficili», dice Gabriele Bischoff, l'eurodeputata tedesca socialista alla presidenza del gruppo Spinelli all'interno dell’Eurocamera: «Verrà il momento in cui l'Europa richiederà maggiore integrazione per costruire una difesa comune e superare il voto all'unanimità».
Quest’ultimo è solo uno degli ostacoli all'approfondimento dell'integrazione. «Occorre un'Europa sovranista, con più potere ma anche più democrazia», dice l'eurodeputato socialdemocratico Marc Angel. Non 27 spazi nazionali ma una dimensione europea della politica, ovvero le liste transnazionali.
La soluzione per un'Europa più democratica? Le liste transnazionali
Oggi ogni elezione europea è solo un'altra elezione nazionale mentre ogni elezione nazionale ha una forte dimensione europea. Ce lo ha dimostrato Viktor Orban e lo viviamo emotivamente a ogni elezione francese o tedesca. Dare l'opportunità ai cittadini di eleggere una parte dei deputati europei in base al credo politico ma indipendentemente dal Paese di appartenenza è l'obiettivo di queste liste, la cui approvazione è bloccata dal Consiglio. Con l'intelligenza artificiale è possibile fare campagna elettorale in 27 Paesi e 24 lingue: non serve una revisione immediata dei trattati ma volontà politica. «I trattati già permettono la maggiore integrazione volontaria tra alcuni Stati su alcuni temi, come appunto la fiscalità o la difesa comune», dice il professor Merijn Chamon della Libera Università di Bruxelles. E permetterebbero anche di avere un'unica persona a capo del Consiglio europeo e della Commissione, magari eletta tramite quelle liste transnazionali per garantire all’Europa una testa politica con legittimità democratica. Una testa che non rischierebbe più di essere esposta a una mozione di censura da parte delle componenti illiberali dell'Eurocamera, come appena avvenuto.
Si tratterebbe di uno di quei passi fondamentali che i leader europei potrebbero compiere per rispondere alle richieste di «più libertà all’interno e maggiore forza verso l’esterno» che richiedono con insistenza le opinioni pubbliche europee, come tiene a sottolineare l’europarlamentare popolare Lukas Mandl. Per farlo, dovranno cedere una parte del proprio potere politico. In nome dei valori e dei principi che ne hanno permesso l’elezione. In nome di un’entità politica concretamente capace di garantire prosperità e pace in un mondo dominato da pochi, potenti giganti.
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