Inchieste
18 luglio, 2025Quel che inquieta i massoni è anche il supposto doppio standard della giustizia interna
C’è un uomo che pare aver pagato più degli altri il clima di tensione interno al Goi. Il 9 maggio del 2024, a Messina, il notaio e massone Silverio Magno si è ritrovato al centro di un processo interno che si è concluso con la sua espulsione. Magno si era candidato a Grande Oratore e aveva denunciato quella che ha definito una «mentalità mafiosa» racchiusa «all’interno delle colonne del Tempio». Tra le critiche mosse da Magno al Goi di Bisi vi è il funzionamento della giustizia interna massonica. Il casus belli è quello dell’avvocato Antonino Salsone, accusato per un post su Facebook che – secondo Magno – era solo un pretesto per eliminarlo. E così anche Magno è stato espulso. Così come Claudio Solinas, che a lungo dalla Sardegna ha chiesto chiarezza sulla pratica delle affiliazioni doppie o triple.
Quel che inquieta i massoni è anche il supposto doppio standard della giustizia interna. Tutto ruota intorno all’articolo 187 del codice massonico, secondo cui il semplice essere oggetto di restrizione della libertà personale per effetto delle leggi nazionali (ad esempio arresti, anche domiciliari, anche precedenti alla condanna) può determinare la sospensione del massone e successivamente la sua espulsione a seguito di una cosiddetta incolpazione interna. Se prosciolto, egli potrà poi rientrare. Si tratta di una norma interna di cui la massoneria si è dotata negli anni per proteggersi dalle infiltrazioni criminali e mafiose, specie dopo lo scandalo della P2. Ci sono però casi in cui l’articolo 187 è stato ignorato. Come ad esempio quello dell’avvocato 79enne siciliano Antonio Messina, accusato di essere stato il cassiere di Matteo Messina Denaro durante la sua latitanza e per questo mai espulso. Stesso dicasi per Pino Mandalari, commercialista di Totò Riina e fondatore della Loggia Iside 2, e Alfonso Tumbarello, membro della “Valle di Cusa – Giovanni di Gangi”, ritenuto essere il medico di Messina Denaro. O ancora Vito Lauria, tre volte Maestro Venerabile della Loggia n. 959 “Arnaldo da Brescia” di Licata (Agrigento), condannato in via definitiva nel 2023 a 8 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e mai espulso dal Goi.
La terminologia è quasi sempre la stessa. I vertici associativi procedono con la “sospensione” ma non attivano la procedura di incolpazione interna, portando a un semplice “depennamento” anziché a un’espulsione. Il che non incide sulle prerogative massoniche del fratello che ha intrattenuto rapporti con un’organizzazione mafiosa. Rapporti peraltro sempre più frequenti anche per via di una forte crescita della popolarità della Massoneria in aree ad alto rischio di infiltrazione. Emblematico il caso della Calabria, dove le logge sono più di cento e i massoni più di tremila (il doppio dei sacerdoti), spesso presenti nelle stesse aree sotto il controllo delle ’ndrine. Intervistato dall’Espresso, Magno non ha avuto dubbi: «Fossi diventato Grande Oratore, in presenza di un fratello accusato di dialogare con ambienti mafiosi, avrei sospeso immediatamente la persona con un grande risalto e non nelle segrete stanze e poi proceduto con un incolpazione».
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