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22 luglio, 2025La diaspora dei dissidenti prova a costruire una rete di comunicazione. Tra gli esuli e con chi in patria si oppone a Putin e sconta anni di galera. Messaggi cifrati per aggirare la censura
Pochi giorni fa una giornalista è stata avvelenata, non lontano da dove vivo», racconta Denis, giornalista e attivista russo. «Onestamente, la notizia non mi sorprende: fin dal nostro arrivo in Georgia giravano voci sulla presenza di agenti russi sotto copertura che monitorano le nostre attività». Prima di fuggire per evitare la coscrizione, Denis lavorava per la campagna politica di Alexey Navalny a San Pietroburgo. Oggi vive a Tbilisi, dove organizza eventi in cui ex prigionieri politici condividono le loro storie e vengono scritte lettere ai detenuti che si trovano ancora in Russia.
La nuova vita di Denis non è un caso isolato: tra Caucaso ed Europa sono molti i collettivi nati per cercare di ricucire la realtà frammentata dell’esilio russo. Tra questi, i cosiddetti Reforum Spaces, fondati dalla fondazione Free Russia: spazi in cui si organizzano eventi culturali, assemblee pubbliche, riflessioni politiche, ma soprattutto si mantengono attive le comunicazioni con i prigionieri politici detenuti in Russia per aver espresso il proprio dissenso.
«Quando scriviamo, dobbiamo essere estremamente cauti per evitare la censura e fare in modo che il messaggio arrivi», spiega Denis mentre compila una cartolina. «Anche un disegno apparentemente banale può avere significato e dare speranza a chi si trova in carcere», aggiunge. Le lettere restano uno dei pochi canali diretti con chi è rinchiuso nelle prigioni russe, ma spesso non arrivano o vengono oscurate. Per aggirare la censura, i volontari usano linguaggi in codice, simboli e cartoline illustrate, che sembrano avere maggiori probabilità di superare i controlli. Molti cittadini russi partecipano a questi eventi, considerati da molti fondamentali. «Mantenere il contatto con chi è ancora in Russia è cruciale», afferma Denis. «È difficile, ma rafforzare questo dialogo è uno dei pochi modi rimasti per reagire a una situazione che peggiora di giorno in giorno».
Ponti di supporto
«In un contesto che cambia così rapidamente, il dialogo tra chi si oppone al Cremlino è essenziale», afferma Darina, coordinatrice del progetto Kovcheg in Armenia, la principale rete di supporto per i russi contrari alla guerra o costretti alla fuga per le proprie idee politiche. Quando lasciò la Russia nel marzo 2022, Darina non immaginava quanto il bisogno di espressione e connessione sarebbe cresciuto tra gli esuli. Kovcheg, nato come un piccolo gruppo di volontari, è presto diventato il principale network di supporto per i russi in esilio e non solo.
Attivo in diversi Paesi, Kovcheg offre assistenza legale, supporto psicologico e corsi di lingua inglese per favorire l’integrazione degli esuli russi o per preparare chi si trova ancora in Russia a un possibile trasferimento. «Offriamo webinar sui diritti legali nei casi politici e gruppi di supporto psicologico», racconta Darina. «Ovviamente non possiamo organizzare eventi in presenza in Russia, ma le nostre iniziative online sono aperte a tutti, ovunque si trovino». Sebbene la censura diventi sempre più stringente entro i confini nazionali, i canali di comunicazione sicuri continuano a esistere, o meglio, a essere rinnovati. Oggi molti dissidenti russi utilizzano app criptate come Signal o Session, anche se Telegram resta il principale mezzo di diffusione delle informazioni.
Proprio attraverso queste piattaforme, Kovcheg promuove forme di supporto concreto e di riflessione politica. Un esempio recente è il programma First Flight, che prepara i cittadini russi – sia nel Paese che in esilio – a impegnarsi nella società civile e a riflettere su un futuro democratico post-Putin. «Tanti vogliono parlare, ma hanno paura», spiega Darina. «Leggono, ci seguono, ma non possono interagire. Basta una parola sbagliata per rischiare anni di prigione». La rete agisce anche contro la propaganda del Cremlino, proponendo narrazioni alternative, diffondendo informazioni indipendenti e lanciando campagne di sensibilizzazione rivolte ai cittadini. «Il primo passo è sfidare la narrazione dominante», afferma Darina. «Forse nel breve termine non basterà, ma noi intendiamo lavorare in un’ottica di lungo periodo: non si tratta solo di resistere al regime attuale, ma di immaginare e costruire una Russia post-autoritaria».
Laboratorio di democrazia
La ricerca di un’alternativa politica è diventata centrale dopo la morte di Navalny, ma le divergenze interne continuano a ostacolare la nascita di un’opposizione unitaria. «Date le dimensioni del Paese e la varietà di correnti politiche e sociali al suo interno, l’opposizione in Russia rimane frammentata e spesso decentralizzata», osserva Oleg Orlov, il biologo dissidente, perseguitato in Russia insignito del Nobel per la pace, oggi a Berlino, dopo lo scambio di prigionieri.
Per affrontare questa sfida, un gruppo di attivisti ha ideato e fondato Platforma, un’alleanza che riunisce oltre 80 organizzazioni, dentro e fuori la Russia, attorno a obiettivi comuni: la fine della guerra e la costruzione di un’alternativa democratica per il Paese. Una missione tutt’altro che semplice. «Abbiamo background e visioni diverse, persino idee contrastanti su cosa significhi democrazia», racconta Pasha, tra i fondatori del progetto, che oggi coordina la community e i programmi. «Non promuoviamo una visione unica, ma offriamo strumenti per esplorarne molte e differenti. È un lavoro affascinante, ma anche complesso: il concetto di “opposizione democratica” è difficile da comprendere per chi è cresciuto in un Paese dove la democrazia è rimasta un’idea astratta per oltre vent’anni».
Anche secondo Pasha, un aspetto chiave è mantenere vivo il legame con la società civile in Russia. «Su molte questioni c’è sintonia, ma su altre, come l’inclusione della comunità Lgbtq+, emergono ancora tensioni, spesso legate a differenze generazionali e culturali», spiega. «Restiamo in contatto costante con gruppi all’interno del Paese, ma la repressione complica tutto. Alcuni attivisti sono stati costretti a fuggire, altri continuano a operare sul territorio, a rischio della propria libertà».
Nessuno resti solo
In un Paese dove la repressione delle minoranze si è fatta sempre più dura, sono nate reti che, da oltre confine, offrono supporto alla comunità Lgbtq+ in Russia. Forniscono assistenza legale, sostegno logistico e spazi sicuri. La criminalizzazione dell’identità queer ha raggiunto un nuovo apice nel novembre 2023, quando la Corte Suprema russa ha definito il «movimento Lgbt internazionale» un’organizzazione estremista.
Secondo Maxim, attivista transgender e coordinatore del Centro T a Yerevan, il problema è legato alla visione di grandezza che la Russia ha costruito attorno a sé come nazione. «Dobbiamo uscire dal mito imperialista: la guerra non è la causa, ma uno dei sintomi di questa narrazione, che si nutre del mito dell’uomo forte, garante dell’ordine, ma che in realtà porta a una legislazione spietata contro le minoranze e a una censura sempre più oppressiva». Per molte persone queer, fuggire non è stata una scelta politica, ma una questione di sopravvivenza. «Se fossi rimasto, mi avrebbero arrestato per propaganda». La sua attività di sostegno alla comunità Lgbtq+ era cominciata a Mosca, ma con l’intensificarsi della censura ha dovuto chiudere la sede e rifugiarsi in Armenia, dove ha rilanciato l’attività. «Abbiamo ospitato centinaia di persone. Ma con la stretta repressiva non potevamo più operare in sicurezza in Russia». «Ora vogliamo rafforzare la nostra rete, evacuare persone trans in pericolo, offrire supporto psicologico e alloggi temporanei», spiega Maxim. «La repressione non si ferma, e nemmeno noi. Non possiamo eliminare la propaganda, ma possiamo costruire reti e aiutare affinché nessuno resti solo».
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