Mondo
17 settembre, 2025Tornano a rilanciare la vecchia e ormai inapplicabile formula della soluzione dei due Stati, mentre Gaza brucia e la Cisgiordania è oggetto da anni dei raid israeliani
Notizie pessime, dal fronte di Gaza, che peggiorano con il passare dei giorni. Israele si appresta ad assestare il colpo finale a Gaza City, già in tragiche condizioni. L’Onu, ha dichiarato lo stato di carestia, negato con veemenza dal governo di Gerusalemme, il cui ministero degli Esteri pubblica immagini di mercati stracolmi di merci e di ristoranti allegramente in servizio. Intanto, le foto di bambini e di adulti malnutriti fanno fremere il mondo.
Grande clamore da parte di Paesi occidentali, amici e alleati di Israele che, dopo due anni di distruzione e 60 mila gazawi uccisi –, si sono accorti che sì, va bene il diritto di Israele a difendersi dopo il massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023, ma quel diritto deve essere proporzionale all’attacco e, in questo caso, ci pare, la proporzionalità è andata del tutto perduta.
Le condanne si susseguono a gran voce, si chiede la fine delle ostilità e la liberazione degli ostaggi, partono tra i flash dei fotografi flottiglie di aiuti verso Gaza, che verranno certamente fermate –ma è il simbolo che conta – mentre Francia, Regno Unito, Belgio e Canada riconosceranno alla prossima Assemblea Generale dell’Onu uno Stato che non esiste, la Palestina, e che non crediamo verrà la luce a breve. Una mossa simbolica, anche questa, fatta con le migliori intenzioni, senza dubbio, ma del tutto inutile. Per ora, è riuscita soltanto a far infuriare gli israeliani, che minacciano, in ritorsione, di annettere parti della Cisgiordania.
E i Paesi arabi dove sono, che cosa fanno? Anche loro accusano, mandano aiuti, mentre il Qatar, finanziatore non tanto silenzioso di Hamas sotto l’occhio benevolo di Netanyahu, ormai da mesi, cerca di mediare un cessate il fuoco tra due nemici sempre più incattiviti, coadiuvato dall’Egitto e dagli onnipresenti Stati Uniti. Washington è sempre stato lì, a cercare di risolvere una mai risolta questione palestinese, riservando sempre un occhio di riguardo allo Stato Ebraico.
Gli altri Paesi arabi, a parte la condanna sommessa, il lancio degli aiuti umanitari, l’accoglienza di qualche gazawi ferito o malato, che cosa fanno concretamente per i fratelli palestinesi? Di tanto in tanto, insieme al resto della cosiddetta comunità internazionale, tornano a rilanciare la vecchia e ormai inapplicabile formula della soluzione dei due Stati, mentre Gaza brucia e la Cisgiordania è oggetto da anni dei raid israeliani, con case distrutte, oliveti sradicati, mentre i coloni uccidono e incendiano e l’esercito israeliano volta la faccia dall’altra parte. Viene voglia di urlare per svegliare occidentali e arabi che lo sanno ma, condannando, in fondo fanno spallucce.
Ma gridare è inutile. È meglio tentare di trovare un momento di razionalità all’interno di un momento storico che l’ha perduta. Cerchiamo di farlo mentre siamo spettatori inorriditi di una carneficina che, in Medio Oriente, non si vedeva da tempo. E in essa includiamo anche l’atroce massacro di 1.200 israeliani, della violenza inflitta alle donne, delle mutilazioni di cui sono stati oggetto i corpi. Non è come piangere 60mila morti, né vedere bambini uccisi dalla fame: ma è. Sono entrambi spaventosi segni dei tempi.
Torniamo, dunque, alla nostra questione: in che modo i Paesi arabi potrebbero correre in soccorso dei fratelli che da quasi 80 anni non trovano pace? Già, perché l’irrisolta questione palestinese compirà presto 80 anni, come quell’altra questione, quella ebraica, che a quanto pare sembrerebbe risolta, almeno nei termini immaginati da Theodor Herzl, fondatore del Sionismo. Che lo sia davvero è un altro paio di maniche.
I Paesi arabi, nelle occasioni ufficiali, hanno l’abitudine di chiamarsi “fratelli”. Un modo piacevole di rivolgersi l’un l’altro, anche se, forse, un po’ ipocrita. Del resto, tutte le famiglie un po’ lo sono, non c’è un fratello uguale all’altro e spesso si viene alle mani. Oggi, nel mondo, gli arabi sono circa 450milioni, tra cui i profughi che vivono da decenni in campi al limite della decenza e poi gli abitanti dei Paesi del Golfo, che danno un po’ l’idea dello zio ricco e mondano che di tanto arriva a dare una sostanziosa mancetta. Persone così numerose non riescono ad andare sempre d’accordo e, anzi, talvolta possono arrivare a tradirsi. Non sempre lo fanno volontariamente; può essere la disperazione, a spingerli, perché le loro condizioni di vita non sembrano avere soluzione se non la lotta armata. Probabilmente questo è accaduto ai palestinesi dell’Olp quando, in qualche modo, hanno tradito il re Hussein di Giordania che li ospitava dopo la Nakba e che è stato costretto a combatterli e a espellerli. O com’è accaduto in Libano, straziato dalla guerra civile, dove, espulsa ancora una volta, l’Olp ha abbandonato senza protezione i suoi palestinesi, affollati nei campi profughi, massacrati dalle milizie maronite libanesi alleate degli israeliani.
Anche Hamas, il movimento islamista braccio della Fratellanza musulmana in Palestina, che mirava a creare uno Stato islamico basato sulla sharia, ha a suo modo tradito. E non battendo al-Fatah alle elezioni, ma occupando Gaza e imponendo un regime violento e autoritario che, agli ordini di Yahya Sinwar, ha voluto riportare alla ribalta del mondo la questione palestinese trucidando 1.200 israeliani. E questo non per deresponsabilizzare lo Stato ebraico delle sue orribili colpe, ma perché, alla fine, è probabilmente questa strage che Sinwar voleva causare.
Il tradimento peggiore, però, è quello per interesse; quello per cui un guadagno è più importante del tuo fratello meno fortunato. Tale non temiamo a definire gli Accordi di Abramo, firmati nel 2020 nel tripudio del presidente americano Donald Trump al suo primo mandato. Ad essi hanno aderito per primi gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, seguiti dal Marocco e dal Sudan. Gli Accordi, si è commentato allora, sono stati ideati per il raggiungimento della pace regionale e mondiale grazie alla normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni Stati a maggioranza musulmana – in una cornice interreligiosa di fratellanza basata sulla comune derivazione da Abramo di ebraismo, islam e cristianesimo. Al di là degli ipocriti ideali annunciati, ogni accordo si è poi concretizzato in collaborazioni di rilevante portata, soprattutto nel campo economico e in quello della difesa. Trump, subito dopo la firma iniziale, aveva annunciato: «Ci sarà la pace in Medio Oriente».
Ed eccola qui, dopo 5 anni, di cui due trascorsi a distruggere Gaza e la sua popolazione, la Pax Trumpiana. E a proposito della Striscia, sempre sulla scia della genialità palazzinara del Tycoon, non è da escludere che davvero, dopo aver portato avanti l’espulsione “volontaria” dei gazawi, avremo una “Riviera del Medio Oriente” completa di isole artificiali come quelle di Abu Dhabi; il tutto probabilmente finanziato da qualche Paese, arabo, del Golfo. La Cisgiordania, intanto, avrà l’onore di essere completamente annessa ad Israele; o almeno l’82%, come prevede il ministro estremista Belazel Smotrich. Una soluzione da incubo per la questione palestinese.
Ma forse c’è ancora una speranza: lo scorso 3 settembre, proprio gli Emirati Arabi Uniti, primi firmatari degli Accordi di Abramo, hanno avvisato Israele che «annettere la Cisgiordania significherebbe superare una linea rossa» che metterebbe fine alla visione di un’integrazione regionale. Forse, alla fine, un fratello arabo che agisce senza parlare troppo c’è ancora.
*Vice responsabile ricerca e analisi geopolitica Med-Or Italian Foundation

LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Nuovo ordine - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 12 settembre, è disponibile in edicola e in app