Mondo
9 settembre, 2025Negli Stati Uniti sono sempre più diffuse le operazioni di polizia effettuate da agenti con il volto coperto
Il New York Times, nei giorni scorsi, ha riflettuto su un fenomeno sempre più diffuso. Che solo all’apparenza è una questione di poco conto. L’utilizzo di maschere e passamontagna da parte delle forze di polizia americane. In particolare, degli uomini dell’Ice, la controversa agenzia che controlla le frontiere e l’immigrazione. Le giustificazioni formali e ufficiali del governo statunitense sottolineano che la misura è volta a proteggere gli agenti da ciò che viene chiamato doxing. Ovvero minacce pubbliche che si concretizzano nella forma di diffusione di fotografie e vignette nelle città, in adesivi sui pali del telefono, sugli alberi e sui muri dei palazzi.
Eppure, il fenomeno rimanda al recente passato. Viene in mente la Russia di Putin del 2000, nel pieno del conflitto ceceno, quando gli scontri tra il nuovo presidente e i gruppi di oligarchi storici si fece senza guardarsi negli occhi. E, ancora prima, la Colombia degli anni ’80 e ’90 con il governo che collaborava con forze paramilitari e uomini spesso travisati e irriconoscibili.
E se il Covid ha “abituato” le persone alle mascherine, proprio negli Stati Uniti l’utilizzo di cappucci e passamontagna ricorda una triste storia neanche così tanto remota. Quella dei membri del Ku Klux Klan, per controllare i quali alcune leggi degli anni 40 e 50 avevano imposto il divieto di utilizzare maschere durante le manifestazioni pubbliche.
I rischi di abuso e la prova di fermezza
Oggi, la questione della responsabilità degli agenti nei confronti dei cittadini si scontra con il paradosso della necessità di dotare le forze di polizia di bodycam, distintivi con le generalità e il numero identificativo e, in alcuni casi, il cognome stampato sulla giubba dei militari dell’esercito.
Il rischio principale, quello più immediato, è che il volto mascherato offra spazio maggiore agli eventuali abusi delle forze dell’ordine. Alcuni commentatori d’oltreoceano, come il politologo Steven Levitsky, intervistato dal New York Times, sono convinti che “i regimi più forti e sicuri delle loro istituzioni raramente mascherano le proprie forze di polizia o l’esercito. In questo, la Cina è un esempio di trasparenza – per eccesso di autorità, si intende -. Mostrare i volti degli agenti che operano sul campo è un modo come un altro, forse più potente e diretto di altri, per dimostrare la legittimità delle azioni e delle decisioni del governo e dei vertici militari. Il travisamento, al contrario, più che una dimostrazione di legittimità è una dimostrazione di forza”.
Insomma, che Donald Trump voglia, attraverso gli agenti mascherati, dare una prova di fermezza e soprattutto dire “siamo noi al potere e adesso sistemiamo le cose come meglio crediamo”, è ormai quasi una certezza più che un’ipotesi. L’ossessione per l’immigrazione irregolare, per i permessi di soggiorno e per le green card. I blitz dell’ICE (l’ultimo in Georgia, in uno stabilimento Hyundai-LG ha rischiato di causare un incidente diplomatico di non poco conto con la Corea del Sud) e i volti mascherati degli agenti contribuiscono a realizzare quell’immagine indubbiamente telegenica e da action movie che Trump, da navigatissimo uomo di televisione, conosce bene. L’arte di impressionare e, allo stesso tempo, di intimidire. Causando nei suoi elettori (e anche nei suoi detrattori) una soddisfazione per un paese che sembra agire e reagire alla complessità delle questioni d’attualità. Ma, causando anche tensione, insicurezza e una patina neanche troppo velata di inquietudine per alcune reminiscenze che così remote ancora non sono.
Bonaga: "Coprirsi il volto è segno di vigliaccheria"
Stefano Bonaga, docente di Antropologia Filosofica all’Università di Bologna, afferma che "il travisamento del volto nelle forze dell’ordine è un chiaro segnale di polverizzazione degli ideali e dei principi basilari dell’Occidente. Una disumanizzazione che non solo privilegia l’anonimato, ma influisce soprattutto sulla dimensione della responsabilità individuale. Coprirsi il volto è da sempre un segno di vigliaccheria. Per questo definisco il presente come il migliore dei mondi impossibili". Un mondo che, secondo Bonaga, ha perso di vista completamente il concetto di logos, di parola, che si manifesta anche nella pratica di rendere anonimi i volti. "Non solo. La parola ha sempre bisogno di un orecchio che la ascolti. E si sta perdendo anche questo".
Grandi: "Così si neutralizza l'identità soggettiva"
Più che di disumanizzazione, invece, Roberto Grandi, professore di Sociologia della cultura e collega di Umberto Eco agli albori del Dams di Bologna, preferisce parlare di neutralizzazione dell’essere umano e dell’identità soggettiva. “Una volta che il volto viene coperto, l’identità della persona scompare. Si diventa un automa e le differenze scompaiono. Un poliziotto mascherato è un’astrazione, né più né meno. Il predominio non è più quello della persona, ma quello della maschera. Oggi siamo immersi in una soggettività totalizzante. Guardi i social network, dove il dilagare delle identità soggettive è così chiaro e diretto. Ed è paradossale che in questa civiltà dell’immagine, le forze di polizia oscurino il loro volto anche quando non è necessario”. Perché è vero, in operazioni speciali e ad alto rischio, la salvaguardia dell’identità degli agenti si impone in modo inequivocabile. “Là dove non sia necessario – prosegue Grandi – questa tendenza porta solo a fraintendimenti, perché, ancora, si assiste alla sottrazione dall’individuo della sua soggettività e quello che appare è solo la funzione che sta esprimendo”.
Gli agenti dell'Ice e South Park
Il rischio ultimo, quindi, sembra essere proprio il pericoloso rapporto tra le modalità d’azione delle forze dell’ordine, la tipologia di abbigliamento da loro indossato (e il conseguente travisamento), e il rischio della disumanizzazione non solo degli stessi agenti, ma anche, per una sorta di osmosi puramente umana, delle persone a cui i medesimi agenti si rivolgono. Che siano efferati criminali, immigrati irregolari (come quelli sottoposti a indagini e a numerosi arresti da parte dell’Ice) e, alle volte, per fisiologica probabilità, anche innocenti. E allora non si è neanche più sicuri se dare alla faccenda tutta l’importanza che merita, oppure se buttarla nel calderone dell’aneddotica, considerandola come un fenomeno passeggero. Al limitare esatto del folklore, della leggenda metropolitana e della fruizione mediatica. Appunto una questione di aneddoti. Come sembra considerarla l’Homeland Security statunitense che ad agosto ha pubblicato sui social media ufficiali un’immagine che ritrae alcuni personaggi in stile South Park a bordo di auto dell’ICE. Con i volti coperti. Dal naso fino al mento. Didascalia del post: JOIN.ICE.GOV.
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