Indro fu allo stesso tempo antitaliano e arcitaliano come capita alle persone di talento e di grandi passioni. Nel '94 ruppe con Berlusconi per l'avventurismo e il narcisismo patologico del Cavaliere

Montanelli anti e arci

Qualche giorno prima che si compissero cent'anni dalla nascita di Indro Montanelli sua nipote, che l'ha avuto molto caro e l'ha assistito amorosamente nei momenti dolorosi del trapasso, mi invitò a partecipare in qualche modo alla celebrazione di quell'anniversario. Ringraziai e promisi che l'avrei fatto, ma a qualche settimana di distanza. Non avevo voglia di unirmi ad un coro un po' troppo rituale che tendeva più a fare di lui una sorta di icona che a ricordare la persona vera, con i suoi pregi e i suoi difetti come ciascuno di noi.

Ho scritto molto su di lui: spesso contro, talvolta a favore, ma sempre cercando di capire quale fosse la sua natura e fino a che punto abbia rappresentato i sentimenti degli italiani, ammesso che sia possibile cogliere alcuni connotati comuni ad una nazione così variegata e con storie così diverse tra un luogo e l'altro.

Indro Montanelli, tra le tante immagini che gli sono state appioppate, è stato definito l'antitaliano e l'arcitaliano. Sono l'esempio di una contraddizione ma colgono un aspetto vero perché Indro fu allo stesso tempo l'uno e l'altro, anti e arci, come capita alle persone di talento e di grandi passioni. Simile in questo a moltissimi concittadini, a conferma del fatto che una nazione italiana non esiste perché il suo tratto essenziale è la contraddizione che nega ciò che afferma e afferma ciò che nega. "Siamo un gruppo di uomini indecisi a tutto", scriveva Ennio Flaiano. Esprimeva lo stesso concetto e la stessa visione.

Personalmente non ho mai condiviso questo modo di sentire, non sono mai stato anti e arci contemporaneamente, ho parteggiato per certe idee, per certi obiettivi, per affermare certi diritti e altrettanti doveri, sperando che questa visione delle cose si radicasse fino a diventare patrimonio di tutto il paese. In questo mio parteggiare è anche accaduto che fossi fazioso e mi sentissi straniero in patria nei momenti di maggior delusione, non rinunciando tuttavia a sperare in un futuro più prossimo ai miei ideali e ai miei convincimenti.

Questo modo di sentire e di essere era molto diverso da quello di Indro, lo sapevamo tutti e due, ma ci siamo stimati e talvolta ci siamo anche trovati insieme a sostenere alcune battaglie di libertà. La libertà era infatti una passione comune che ha reso possibile un dialogo tra noi e un'amicizia. Pochi sanno che ci fu un momento in cui pensammo addirittura di fondare insieme un giornale. Del resto l'intervista che determinò la sua rottura con il 'Corriere' Montanelli la dette all''Espresso' e non per caso.

Per sua più volte ripetuta ammissione Indro ebbe due punti di riferimento culturali ed anche caratteriali: Prezzolini e Leo Longanesi. Due pessimisti ad oltranza, due solitari, intrisi di scetticismo ed anche di cinismo. Così era anche Montanelli: pessimista, scettico, solitario ma non era cinico, al contrario era generoso. Generoso, libertario, libertino. Non liberale: sentirsi e dichiararsi tale avrebbe significato scegliere un'appartenenza se non altro culturale, ma questo Indro non lo fece mai, non era nelle sue corde.

Qualcuno l'ha avvicinato a Malaparte. Certe apparenze possono indurre a cogliere una somiglianza ma a mio parere non rappresentano la sostanza di quelle due persone. Malaparte era un uomo d'avventura dominato da una sola passione divorante: l'amore di sé, un narcisismo patologico da manuale accompagnato da un indubbio talento letterario.

Montanelli non ebbe nulla dell'avventuriero e disprezzava chi ne era attratto. La sua rottura con Berlusconi nel 1994 ebbe come motivo essenziale l'avventurismo ed anche il narcisismo patologico che emerse in quell'occasione come elemento dominante del Cavaliere. Anche Indro aveva la sua dose di narcisismo come ciascuno di noi, nei limiti però della fisiologia e questo fa la differenza.

Non starò a dire quanto fosse bravo nel giornalismo e nella divulgazione culturale di cui fu maestro. Se si vuole cercare un senso alla sua lunghissima esperienza professionale, dovrei dire che trasformò in buonsenso il senso comune prevalente. A suo modo politicizzò il senso comune, un'operazione che inconsapevolmente condusse per tutta la sua vita professionale e che spiega il grandissimo successo e il consenso che si è creato intorno a lui. Non so se sia un complimento questo che qui sto esprimendo, ma credo che espresso in poche parole sia questo il senso dell'operazione giornalistica e culturale da lui compiuta.

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