A quasi un anno dal suo ingresso alla Casa Bianca, Obama mette la retromarcia. Di fronte a un attentato fallito il presidente non ha tenuto fede alla sua fama di uomo controllato, calmo e prudente

Dunque ci risiamo? Siamo tornati in piena 'guerra al terrorismo'? Obama sembrava aver scartato questo termine dal suo vocabolario, e ancora oggi rilutta a impiegarlo quanto il suo predecessore. Ma la psicosi da attacco terroristico che agita l'America dopo il fallito attentato di Natale sul volo Amsterdam-Detroit rivela che il trauma dell'11 settembre stenta ad essere assorbito. Soprattutto, dimostra che da quello spartiacque storico gli americani, o almeno i loro leader, non hanno tratto la lezione di fondo. E cioè che il terrorismo si vince non avendone paura. Dimostrando, come avrebbe detto Churchill, che la vittoria sarà nostra perché "resisteremo un minuto più del nemico".

A differenza dell'Inghilterra bombardata a tappeto dalla Luftwaffe, l'America ha dovuto subire un solo colpo sul proprio territorio, quello che ha spazzato via le Torri Gemelle e danneggiato il Pentagono. Poi nulla di serio, se non gli effetti della psicosi da Al Qaeda che intralcia e intristisce la vita quotidiana negli Stati Uniti. Migliaia di americani, molti più di quanto hanno lasciato la vita l'11 settembre, sono morti e continuano a morire nelle campagne militari lanciate da Bush in Afghanistan e in Iraq sotto la sigla 'guerra al terrorismo'. Uno sforzo militare e finanziario immane, che ha contribuito a scavare il pozzo del debito nelle finanze pubbliche e nel portafogli dei cittadini americani. Costringendoli a dipendere sempre più dal mondo esterno, in specie dalla Cina. A definire il paradosso per cui la maggiore potenza dipende dal credito altrui, in specie da quello del suo concorrente per la primazia planetaria in questo secolo.

Obama sembrava aver capito che la conquista di Kabul e di Baghdad non ha migliorato la sicurezza degli Stati Uniti. E che in ogni caso non vale gli enormi sacrifici dei soldati e dei cittadini statunitensi, oltre che quelli minori dei loro 'amici e alleati'. Di qui la decisione di chiudere Guantanamo, di riverniciare l'immagine degli Stati Uniti nel mondo presentandosi come un leader che sa ascoltare, intende negoziare col nemico e cerca la collaborazione di tutti. Per riportare al più presto i ragazzi a casa. La nuova amministrazione annunciava dunque di voler premere il pulsante reset.

A quasi un anno dal suo ingresso alla Casa Bianca, Obama si aggrappa invece al tasto reverse. Di fronte a un attentato fallito, nel quale non si ha nemmeno la certezza che il presunto kamikaze volesse farsi saltare in aria con tutto l'aereo, il presidente non ha tenuto fede alla sua fama di uomo controllato, calmo, prudente. Ha lanciato un allarme a 360 gradi sulla sicurezza nazionale, evocando misure militari per colpire le cellule di Al Qaeda nel nuovo epicentro del terrore, che sarebbe lo Yemen. Alcuni immaginano persino una spedizione militare sul terreno, del tutto improbabile non fosse che per carenza di forze e di fondi. Allo stesso tempo, Guantanamo non chiude e in Afghanistan arrivano i rinforzi, solo per annunciare di voler cominciare a ritirarsi fra un anno e mezzo. Non parliamo dell'abortito dialogo con l'Iran e del fallimentare approccio alla questione israelo-palestinese, dove l'amministrazione è riuscita a scontentare tutti. Forse non si chiamerà più 'guerra al terrorismo', ma il risultato disastroso, per l'America e per noi occidentali, resta. Rimpiangeremo Bush?