Opinioni
17 dicembre, 2010

Rubare sì, ma solo il tre per cento

Tra i vari anniversari storici, dai 150 anni dell'Unità d'Italia al 90 compleanno di Ciampi, uno era sfuggito ai più: i 70 anni di Gianni De Michelis. Il "Corriere della Sera", per la penna di Aldo Cazzullo, ha colmato la lacuna con una bombastica intervista di un'intera pagina piena di rivelazioni. Anzitutto, sui partecipanti al festino dell'ex ministro socialista, ora consulente del ministro Brunetta: "Un iraniano che vive in Germania, un tedesco che vive a Bangkok, un banchiere svizzero. E poi Altissimo e Cirino Pomicino". La tipica compagnia di un esponente del socialismo europeo. Ma l'Illustre Forforato (come lo chiamava Enzo Biagi), Altissimo e Pomicino hanno un altro tratto in comune: una condanna a testa per la maxitangente Enimont. A cui l'Avanzo di Balera (sempre Biagi) cumula un patteggiamento per corruzione sulle mazzette per le autostrade venete. De Michelis, già noto per la mega-segreteria di 50 ragazze e per il conto da 490 milioni di lire lasciato da pagare nel '93 all'Hotel Plaza di Roma, se la cava così: "Le tangenti finivano ai partiti. E a qualcuno che ne approfittò.

Ma erano cifre del tutto compatibili con il sistema economico: diciamo quel 3 per cento che è considerato dai direttori dei supermercati la soglia fisiologica del taccheggio". Peccato che i taccheggiatori da supermarket rubino al massimo qualche provolone e siano generalmente dei poveracci, non dei ministri. Dunque rubare il 3 per cento su appalti da centinaia di miliardi è come non rubare. Modica quantità di mazzette per uso personale. Vengono in mente le "demi-vierges", per le quali la verginità è questione di centimetri. La teoria comunque si presta a sviluppi appassionanti: potrebbe persino autorizzare un ladro a introdursi in casa De Michelis, purché non asporti più del 3 per cento dell'argenteria. Quanto alla compatibilità delle mazzette col sistema economico, un intervistatore informato avrebbe potuto ricordare a De Michelis che, ai bei tempi di Tangentopoli, la collettività pagava le opere pubbliche fino al 40 per cento in più del dovuto.

La linea 3 della metropolitana di Milano costò 192 miliardi di lire a km contro i 45 di quella di Amburgo. Il passante ferroviario milanese 100 miliardi a km, contro i 50 di quello di Zurigo costruito nella metà del tempo (sette anni contro 12). Ma, secondo De Michelis, l'Italia della Prima Repubblica era "il Paese più ricco del mondo" in termini reali. Dimentica un dettaglio: il debito pubblico, balzato dal 1980 al '92 dal 60 al 120 per cento del Pil (solo nel quadriennio magico del governo Craxi, 1984-87, passò da 400 mila a 1 milione di miliardi). Oggi ci costa 80 miliardi di euro l'anno solo di interessi, mentre la tassa impropria delle mazzette nel '92 si mangiava 5-6 miliardi di euro annui (dati del Centro Einaudi) e oggi ne divora 60 (dati della Corte dei Conti). L'intervista si rivela comunque preziosa. Aiuta a capire perché De Michelis fa il consulente del governo: per aiutarlo a combattere meglio la corruzione.

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