
La prima e istintiva reazione di ogni occidentale che arrivi in India è un senso di smarrimento: tutto ciò che lo circonda gli trasmette uno stile di vita incredibilmente diverso. La chiave per capire l'India è comprendere la religione che professa l'80 per cento della sua popolazione, l'induismo, la più antica religione della Terra. Secondo alcune stime vi sarebbero nell'induismo 300 milioni di divinità, più o meno una ogni tre indù, mentre secondo altri calcoli - quelli delle Upanishad e del riformista Shankara del IX secolo - di Dio ne esiste solo uno. Entrambe queste affermazioni sono corrette: gli indù infatti considerano ogni essere del creato un tutt'uno indivisibile e pervaso dal divino, che si manifesta con infiniti e inestimabili sembianze. Le ragioni di questa profusione sono da ricercare nelle modalità con le quali l'induismo si è propagato nel subcontinente indiano e da lì ancora oltre, nell'Asia sud-orientale, senza mai entrare in conflitto con gli dèi locali o esigere che i credenti abiurassero per convertirsi ai nuovi. Così negli anni '60 a Goa non era inconsueto vedere case di indù nelle quali accanto a quelle di Gesù e John F. Kennedy erano esposte immagini di Krishna e Shiva. Molti pregano divinità indù, musulmane e sikh. Le tombe dei santi sufi, come quella dello sceicco Chishti di Ajmer, attirano milioni di pellegrini indù e musulmani.
Il criterio più giusto con il quale accostarsi all'induismo e all'India nel suo insieme consiste nell'accantonare la legge aristotelica del terzo escluso. Nella filosofia indù non esiste il principio di contraddizione e di conseguenza spesso gli indiani sono accusati di essere ipocriti, in quanto riescono nello stesso momento ad avere due opinioni del tutto divergenti tra loro. Dove c'è una dicotomia, per esempio tra bene e male, c'è sempre un terzo principio che trascende entrambi. Anche tra spirito e scienza non vi è contraddizione, come tra acquisizione di ricchezza e acquisizione di meriti spirituali. Per l'uomo esistono solo finalità diverse. L'induismo riconosce che l'Io è formato da più stratificazioni, e che spesso queste credono in cose diverse. Il primo strato è quello fisico-corporeo, il secondo è la coscienza, il terzo il subconscio, il quarto è l'Essere, quella parte di sé che comprende l'esistenza intera.
La grande differenza tra l'induismo e le regioni d'Abramo è che non ci si converte all'induismo: indù si nasce. Secondo la maggior parte delle opinioni e dei testi, tutti sono indù. Per ogni precetto che un indù segue religiosamente, se ne può subito individuare un altro che lo contraddice. Per esempio il tabù che vieta il consumo di carne, molto osservato tra gli indù di oggi - fino al XII secolo non aveva seguito. Al contrario, in molti sacrifici vedici l'uccisione di una mucca e il consumo della sua carne erano precetti obbligatori e osservati.
Si ha una certa propensione a considerare l'induismo una religione nebulosa, distaccata dal mondo; eppure uno dei più grandi filosofi indù di tutti i tempi, Caravaca, fu così materialista da arrivare a confutare l'esistenza stessa di Dio o dello spirito. Nell'induismo nessuno ha l'autorità di poter scomunicare qualcuno, di dichiararlo apostata o blasfemo e neppure infedele. Per essere indù non è necessario credere in Dio.
Ciò non vuol dire che gli indù si creino singolarmente una propria religione: la maggior parte di loro è molto ortodossa, segue le tradizioni e i rituali delle specifiche sottocaste alle quali appartiene. Il punto è che esistono così tante caste, così tante sette, così tante tradizioni, che per ogni principio che un sottogruppo crede essere scolpito nella roccia, se ne trova un altro che crede nell'esatto contrario. Alcune sette tantriche hanno tradizioni rituali a base di sesso, consumo di carne e bevande inebrianti, mentre la maggior parte delle altre sette indù ha rigide proibizioni in relazione a tutte e tre. Malgrado ciò, anche quelle sette non sarebbero mai definite 'sette tantriche non indù', e non esiste né papa né mullah che abbia l'autorità di farlo.
Per quanto sorprendente possa essere, la religione che ha creato gli 'intoccabili' e ha proibito alle vedove di contrarre nuovamente matrimonio, conta tra le proprie fila alcuni dei migliori ingegneri elettronici e fisici al mondo. Gli scienziati dell'Indian Institute of Science di Bangalore ogni mattina si recano al tempio a pregare, a tracciarsi il segno della casta alla quale appartengono sulla fronte e dopo vanno all'università a scrivere saggi e trattati sulla teoria dei quanti. Tra gli antichi indù ci sono stati alcuni dei più grandi astronomi dell'antichità, e chi ha dato all'umanità i numerali e la cifra zero; la vivace e dinamica tradizione del pensiero scientifico indiano in epoca medievale declinò e si appannò notevolmente. Quando i britannici iniziarono a costruire università per loro, gli indù vi affluirono in massa, come pesci verso l'acqua: così una marea di riformisti indù fece sue le idee sulla libertà prendendole in prestito dagli occidentali, e le utilizzò a sostegno delle lotte contro mali endemici quali il sistema delle caste e il matrimonio in età infantile. La maggior parte degli indù crede fortemente nell'esistenza di una dimensione spirituale dell'Universo, ha la netta sensazione che esista qualcosa che non è possibile formulare in termini razionali, e alla quale tuttavia si perviene sicuramente per via intuitiva. È questo a spingere fino a 30 milioni di persone a bagnarsi simultaneamente nelle acque di uno stesso fiume in un giorno preciso, durante la grande festa del Kumbha Mela. Da un canto lo si fa per il piacere di una nuotata, dall'altro per tradizione, per ripetere un rituale che deve essere rispettato anche se lo si comprende soltanto in modo vago, per mondare l'anima dai peccati, alla ricerca universale dell'immortalità. In India tutto è spirituale, ogni cosa e ogni individuo, a prescindere che creda in Dio o investa tutte la proprie energie nel rifiutarsi di credere.
traduzione di Anna Bissanti