La crisi greca è un rivelatore geopolitico. Perché rivela la vera natura dell'euro e allo stesso tempo la collocazione economica e geopolitica dei vari paesi in Europa.

Per quanto riguarda il fattore euro, il default mascherato di Atene ne porta in evidenza il limite strutturale di divisa senza Stato. Dunque non governata e non garantita. Non si tratta di un incidente, ma del frutto di un compromesso stipulato a Maastricht tra Francia e Germania, subito dopo l'unificazione tedesca. I francesi volevano evitare che il marco diventasse di fatto la valuta europea, e per questo scambiarono il loro tardivo assenso alla 'Grande Germania' contro la cessione del marco. Così generando una moneta che per la prima volta nella storia universale non era battuta da uno Stato. Figlio di molti genitori, l'euro è stato abbandonato al suo destino, sicché nella migliore delle ipotesi dovremo prepararci a sue ricorrenti fibrillazioni, nella peggiore alla sua fine.

Alcuni pensavano o tuttora pensano che, in ultima istanza, sia la Germania a garantire per la stabilità dell'euro. E quindi si aspettavano un suo deciso intervento per salvare i greci, così come si attendono che altri 'prestiti' seguiranno in caso di ulteriori crisi. Invece la signora Merkel ha impiegato due mesi abbondanti per decidersi a dare luce verde a un 'prestito', probabilmente a fondo perduto, tanto più corposo quanto più ritardato. Ed è molto improbabile, stanti gli umori dell'opinione pubblica tedesca, che di fronte a un 'effetto domino' la cancelliera possa rimettere mano al portafogli. Equivarrebbe a presentare le sue dimissioni, non dal governo ma dalla scena politica germanica.

Forse non ce ne siamo ancora resi conto, ma alla Germania questa Europa non sollecita più quello spirito comunitario che animava gli Adenauer, gli Schmidt e i Kohl. Berlino guarda oltre, e non intende farsi condizionare più di tanto da quella che resta pur sempre la sua area commerciale privilegiata, oltre che monetaria. La tentazione di un 'nucleo duro', che faccia coincidere l'area commerciale primaria con quella dell'euro, traspare di tanto in tanto anche nelle dichiarazioni pubbliche di Frau Merkel e del ministro delle Finanze Schaeuble, che dell'Euronucleo fu il primo teorico. In tal caso, alla Germania farebbero corona, oltre a Francia e Benelux, anche Austria e Slovacchia, e forse altri due o tre paesi dell'ex Est europeo.

Quanto alla Francia, ha brillato per il suo imbarazzante silenzio. Non è solo la debolezza di Sarkozy: è che Parigi non ha più una strategia europea. Finora Europa (ed euro) avevano significato per i francesi tenere sotto controllo la Germania e moltiplicare la potenza della Grande Nation nel mondo. Entrambi gli effetti paiono da tempo esauriti.

Ma la perversa correlazione fra crisi economica, crisi finanziaria e crisi monetaria incide soprattutto nella fascia meno robusta dei paesi euro, i famigerati Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna). Il nostro Paese, gravato di un debito formidabile, non può sentirsi al sicuro. E se dovesse tornare a profilarsi il fantasma dell'Euronucleo, con esso riapparirebbero i riflessi separatisti a suo tempo alimentati dal primo Bossi: quello che l'euro lo voleva per spaccare l'Italia. Nel dibattito nostrano sulla moneta europea, sarà utile tenere ben presente tale sfondo geopolitico, salvo farsi sorprendere da pulsioni compresse ma tutt'altro che estinte nel Nord, non fosse che per la sua integrazione di fatto nell'area di influenza economica tedesca.