La più grave e immediata conseguenza geopolitica dell'arrembaggio israeliano alle navi dei pacifisti è la fine dell'asse Ankara-Gerusalemme. Un'intesa cementata negli anni Novanta in nome della comune diffidenza per gli arabi e della comune alleanza con l'America.
Che qualcosa non funzionasse più nel matrimonio turco-israeliano era apparso evidente durante la guerra di Gaza (dicembre 2008 - gennaio 2009), che portò allo scontro pubblico fra il premier turco Erdogan e il presidente israeliano Peres durante la successiva conferenza di Davos. In quest'anno e mezzo tensioni e incomprensioni reciproche hanno poi prodotto l'implosione finale, con lo scontro marittimo fra forze speciali israeliane e pacifisti più o meno pacifici al largo di Gaza.
Perché le due potenze regionali sono entrate in collisione? Decisivo è stato il graduale cambio della guardia ad Ankara fra il potere dei militari e quello del leader islamico Erdogan. Quest'ultimo ha saputo abilmente giocare la carta europea per costringere le Forze armate, autoproclamate garanti del laicismo, a rinunciare alla loro egemonia in nome delle riforme richieste da Bruxelles per ammettere Ankara in Europa. Siccome l'intesa fra Israele e Turchia era soprattutto l'intesa fra le rispettive Forze armate, l'eclissi dei militari turchi ha eroso uno dei pilastri che sorreggeva questo fondamentale ponte strategico.

Da parte israeliana, il percorso è stato parallelo. Tanto più Erdogan portava la Turchia verso l'obiettivo di affermarsi come perno geopolitico del Medio Oriente, tanto meno i leader israeliani ritenevano di potersi fidare di un leader islamico che flirtava con Hamas.
È molto improbabile che l'asse spezzato possa essere ricostituito. La sfiducia reciproca è slittata in guerra fredda e ora quasi calda, a causa dell'imperizia dei marinai israeliani. In questo modo lo Stato ebraico non solo perde l'unico rilevante alleato nella regione, ma lo regala al suo attuale nemico mortale, l'Iran.
Mentre si allontanava da Gerusalemme, infatti, Ankara si avvicinava a Teheran, con cui intesseva un'intesa poco trasparente ma apparentemente solida. Se fino all'anno scorso Netanyahu pensava di poter allestire una strana alleanza fra israeliani e musulmani sunniti in nome della comune avversione per l'Iran sciita, oggi un'architettura del genere non è più immaginabile.
Questi veloci riallineamenti delle costellazioni mediorientali marcano ancor più lo sbandamento americano. L'omologia d'interessi fra Washington e Gerusalemme è finita con Bush e Olmert. Tra Netanyahu e Obama domina la sfiducia reciproca. Ciò che rende fra l'altro improbabili i patetici sforzi della diplomazia statunitense per rianimare il cadavere del cosiddetto processo di pace. Ora più che mai, in Medio Oriente il futuro sembra appartenere agli estremisti.