Continuano le polemiche sulle "esternazioni" del capo dello Stato, e la stessa parola "esternazione", indipendentemente dalla accettabilità o meno del pensiero esternato, rinvia cronisti e commentatori al settennio Cossiga.
Indubbiamente Cossiga ha inaugurato una pratica che non pare avere riscontro nel dettato costituzionale. Ma non chiediamoci ora perché lo ha fatto bensì perché ha potuto (o è stato incoraggiato a) farlo. E' che quando la Costituzione è stata scritta non esistevano né televisione, né giornali di cinquanta pagine, né linee aeree che non fossero servite da bombardieri in disuso, né autostrade. Il presidente della Repubblica poteva dunque essere configurato come un notaio che, nel chiuso del Quirinale, faceva il garante dell'applicazione della Costituzione, e quando avvertiva che stava succedendo qualcosa d'inquietante parlava al paese nell'unico modo possibile, e cioè mandando via fattorino una lettera al Parlamento.
Situazione non diversa da quella di Pio XII, prigioniero di suor Pasqualina, che poteva esprimersi solo per encicliche.
La situazione è ora cambiata: un presidente si sposta con una frequenza che non diremo pari a quella del papa (perché di globe trotter di tal fatta ne può esistere solo uno per secolo), ma che è tuttavia notevole. Se va in un posto deve parlare, se parla il suo discorso viene magnificato dai media, i media per ragioni di sopravvivenza e concorrenza devono ingigantire anche incisi e parentesi, e se pure il presidente si limitasse a fare osservazioni sul tempo, esse verrebbero interpretate come sottili allusioni.
Infine, a un uomo chiamato a parlare tante volte in luoghi diversi, e che non voglia limitarsi a frasi fatte (del tipo «sono lieto di essere in questa nobilissima città e vi invito ad amare la patria»), non si può impedire idee e speranze. Così, per ragioni strutturali, ai giorni nostri, un presidente di una repubblica parlamentare, che regna ma non governa, fatalmente esterna. Se così è, sia il presidente che la pubblica opinione (politici e giornalisti inclusi) debbono trarne le loro conclusioni.
Il presidente può fare esternazioni o condizionali o assertorie: se dice «si dovrebbe forse cambiare questa legge» esprime un voto, quasi a titolo personale; se dice «si dovrà cambiare questa legge» lancia invece un appello, che certamente assomiglia molto a un messaggio alle Camere che il fattorino abbia perso per strada.
Ma di converso anche l'opinione pubblica (e in particolare politici e giornalisti) debbono riconoscere che, una volta che esiste la pratica (se non il diritto) dell'esternazione, essa va collocata nel quadro dei nuovi tempi. In altri termini, se il presidente manda un messaggio alle Camere, allora parla in quanto garante della Costituzione, se invece esterna, sta semplicemente parlando come cittadino tra gli altri, e come tali le sue parole debbono essere valutate. Certo, sono le parole di un uomo a cui si riconosce autorità morale, ma dovrebbero essere prese come se il papa affermasse che la Nazionale italiana, dopo la deludente prova con la Germania, dovrebbe cambiare la tattica di attacco.
Interessante conoscere l'opinione calcistica di un prelato dai vasti e umanissimi interessi, ma questo non dovrebbe scalfire neppure di un millimetro la dottrina della Chiesa. Anzi, qualsiasi vescovo potrebbe tranquillamente affermare che Sacchi ha fatto quel che doveva fare, ed è bene che continui così.
Il giorno che le esternazioni fossero valutate come opinioni, irrilevanti a fini politici e costituzionali, rimarrebbe utile conoscere come la pensa il presidente su tante faccende, ma non si avrebbe alcun motivo di farne nascere crisi politiche. Cioè si dovrebbe interpretare la Costituzione nel senso che quando il presidente manda un messaggio alle Camere è responsabile, quando esterna nel corso di un viaggio è irresponsabile (intendo nel senso giuridico del termine, non nel senso psicologico). Ultima considerazione, che questa volta spetta ai presidenti. Un presidente della Repubblica italiana (così come la disegna oggi la Costituzione), non è un presidente all'americana.
Questo presidente può desiderare un cambiamento costituzionale, nel senso di una repubblica presidenziale, vuoi all'americana vuoi alla francese. Oppure può non desiderarlo. Anche queste sono opinioni, e non c'è nulla di male se, nel corso di una esternazione, un presidente esprime il suo parere in proposito, parere certamente prezioso e interessante. Ma un presidente deve sapere che, se esterna con vigore e frequenza, contribuisce a incoraggiare nell'opinione pubblica l'idea di una repubblica presidenziale. Anche questo potrebbe essere legittimo, ma è utile che un presidente riconosca che questo è esattamente il risultato delle sue esternazioni, quanto più siano frequenti ed energiche.