Sta mutando tutto l'assetto del potere in Medio Oriente: Teheran rischia di non avere più influenza su Damasco. Intanto gli Stati Uniti stanno per lasciare l'Iraq

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Nei prossimi mesi le truppe americane se ne andranno dall'Iraq e quasi certamente il regime di Assad se ne andrà dalla Siria. Questa circostanza determinerà il più considerevole avvicendamento del potere in Medio Oriente dai tempi dell'invasione dell'Iraq. Gli Stati Uniti potrebbero perdere ulteriore influenza in Iraq a vantaggio di Teheran, e a sua volta Teheran potrebbe ritrovarsi a perderla in Siria, presso Hezbollah, Hamas e nel ruolo che ricopre nella questione arabo-israeliana.

Le guerre che l'America ha intrapreso dopo l'11 settembre hanno portato alla destituzione di due dei suoi principali nemici: i talebani in Afghanistan e il regime di Saddam in Iraq. Negli ultimi otto anni, l'Iran si è costruito una fitta rete di influenza in Iraq, con gruppi sciiti ma anche sunniti e curdi, sia al governo sia all'opposizione. Quando alla fine di quest'anno i soldati statunitensi si ritireranno, l'Iran potrebbe riuscire a radicare e consolidare maggiormente quell'influenza.
D'altro canto, essendo il regime siriano vicino a un potenziale disfacimento, l'Iran potrebbe anche perdere l'alleato arabo che ha da maggior tempo. Se il regime di Assad cadesse, l'Iran non perderebbe soltanto la Siria, ma anche accesso strategico a Hezbollah, accesso a Hamas e ai palestinesi, accesso alla frontiera israeliana.

In pratica, per l'Iran perdere la Siria equivarrebbe a subire il più grave colpo strategico dai tempi della guerra con l'Iraq degli anni Ottanta. In realtà, dal punto di vista dell'ascendente nella regione l'Iran sta vivendo una sorta di traiettoria verso il basso, iniziata con la cacciata dei talebani e la destituzione del regime di Saddam, come pure l'aumento dei prezzi petroliferi del 2004 e le vigorose dimostrazioni di forza del suo principale alleato Hezbollah nella guerra combattuta contro Israele nel 2006. Per l'Iran perdere la Siria in definitiva vorrebbe dire portare a compimento questa traiettoria, e andare incontro a un periodo di minore ascendente in tutto il Medio Oriente.

Oltre a ciò, l'Iran sta perdendo anche soft power in maniera vistosa. In un sondaggio condotto negli anni passati tra le opinioni pubbliche arabe, l'Iran e il suo presidente Ahmadinejad riscuotevano l'80 per cento di popolarità, precipitata negli ultimi mesi intorno al 15 per cento. La ragione all'origine di questo calo di consensi è che l'Iran si è schierato dalla parte sbagliata della Primavera araba: i manifestanti arabi filodemocratici hanno considerato la repressione iraniana delle proteste interne del 2009 come la riprova del fatto che Teheran è tanto autoritaria quanto i loro stessi dittatori arabi. Inoltre, l'aiuto dato dall'Iran al regime di Assad nello sterminio e nella tortura di migliaia dei suoi stessi concittadini, ha imbrattato le mani di Teheran di sangue arabo.

Se l'Iran perderà la Siria, Teheran potrebbe ricavarne motivazioni in più per cercare di controbilanciare quella perdita cercando di acquisire ancor più influenza in Iraq. In realtà i gruppi iracheni sciiti e sunniti paventano la caduta del regime di Assad: il governo sciita guidato da Maliki teme che il governo di Damasco guidato da alawiti sia sostituito da un governo ostile guidato da un leader sunnita; e i sunniti iracheni temono che se gli alawiti perderanno in Siria a vantaggio dei sunniti, l'Iran cercherà di controbilanciare quella perdita mettendo ancor più a bordo campo i sunniti in Iraq.

Tuttavia, l'influenza iraniana sull'Iraq di domani non è un inevitabile punto d'arrivo. In Iraq il nazionalismo iracheno e quello arabo sono molto radicati e l'Iran potrebbe scoprire che è difficile governare quel Paese, come già è accaduto agli americani.

In tutti i casi, nei prossimi mesi il Medio Oriente assisterà a un passaggio dei poteri che trasformerà radicalmente i modelli di relazione invalsi negli anni passati. Forse, questa potrà essere l'occasione giusta sia per gli Stati Uniti sia per l'Iran per moderare le proprie ambizioni di influenza nella regione e lasciare che sia l'Iraq sia la Siria scelgano e forgino da soli il loro futuro democratico.

traduzione di Anna Bissanti
Paul Salem dirige il Carnegie Middle East Center di Beirut in Libano

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