Uno psicopatico barbaro e sanguinario. Che ha bloccato il suo Paese a 42 anni fa. Costringendolo all'ignoranza, alla povertà, alla paura. Questo è Gheddafi. E chi fa affari con lui deve smettere subito

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Arrivando in Libia, già all'aeroporto ci si ritrova come catapultati nei tempi passati dei paesi totalitari dell'Est europeo. I poliziotti in uniforme o in borghese sono sospettosi e onnipresenti. Si ha la sensazione di essere arrivati in un paese immaginato da Georges Orwell e Franz Kafka insieme. Tutto è fermo, assurdo, strano. Si è spiati, sorvegliati, ci si sente a disagio. La prima notte trascorsa all'hotel l'ho passata in bianco. Impossibile conciliare il sonno. Se l'ambasciata di Francia non mi avesse soccorso, non sarei potuto restare in quel paese che mi faceva venire il mal di testa e i conati di vomito. Sono sensazioni non facili da spiegare.

Il secondo aspetto che colpisce è lo stato di immobilismo del Paese. Tutto è rimasto fermo alla fatidica data del 1 settembre 1969, il giorno in cui un giovane colonnello dell'Esercito si impadronì del potere con un colpo di Stato. Gli abitanti del Paese sono tristi. Sono tristi perché sono rassegnati, senza energia. Non c'è uno Stato, non c'è un governo, non ci sono elezioni, e in ogni caso non c'è la vita politica così come la conosciamo nel resto del mondo. C'è, questo sì, Muammar Gheddafi, l'uomo della provvidenza, l'uomo che ha disciolto il Paese in una pentola da stregone.

D'altro non c'è nulla. Persino il Corano è stato sostituito da un altro libro, il Libro verde contenente il pensiero del grande capo - la Costituzione, la Bibbia e il riferimento unico e supremo del Paese.

Arrivare a mettere in ginocchio un intero popolo, fargli avallare dei concetti stravaganti e irrazionali, mantenerlo nell'ignoranza e nella povertà: ecco ciò che è riuscito a fare quest'uomo, che ha resistito per 42 anni senza mai esitare di soffocare ogni tentativo di opposizione. Niente giornalisti, niente testimoni, lui non è raggiungibile, è il maestro assoluto e arrogante. Spesso sono stati ricordati i suoi problemi psicologici, ma non occorre una tecnica di analisi sofisticata per coglierli. Basta guardarlo: il suo narcisismo è patologico, il suo egocentrismo è patetico, la sua arroganza è terrificante.

Avrebbe potuto seguire le sorti di un Saddam Hussein dopo la conferma del suo coinvolgimento nei due attentati contro aerei civili costati la vita a 440 persone (il Boeing Pan Am, saltato in aria nei cieli di Lockerbie il 21 dicembre 1988 con 270 passeggeri e l'aereo francese UTA, esploso sopra il Niger il 19 settembre 1989 con 170 passeggeri). Dopo aver subito ripetute condanne dalle Nazioni Unite con una serie di risoluzioni e dopo essere stato boicottato per molti anni, Gheddafi decise di rilasciare gli agenti, la cui estradizione era da tempo richiesta dalle autorità incaricate dell'indagine, e di indennizzare le famiglie delle vittime.

Accogliendo sollecitamente tutte le richieste degli americani e pagando 2,7 miliardi di dollari per "riparare" la sofferenza cagionata dai suoi agenti, egli è stato astuto. In televisione ora è comparso il figlio Saif al Islam e ha promesso ai manifestanti un "fiume di sangue" - alla mattina del 21 febbraio si contavano 233 morti (ma è impossibile avere cifre precise; questa è solo la stima di Human Rights Watch) - e di vittime ce ne saranno ancora perché il figlio, come il padre, è un barbaro che non conosce altro che la legge del sangue, la repressione feroce e l'impunità.
È qui che i leader dei paesi occidentali che con la Libia fanno affari dovrebbero intervenire. Qua e là sono state espresse delle condanne e delle preoccupazioni, ma quel che sembra prevalere è piuttosto un "Silenzio, si uccide!". E ciò che sta accadendo, mentre scrivo queste righe, a Bengasi, a Tripoli, ad Al Baïda... E al massacro avrebbero partecipato anche dei mercenari.

Se Gheddafi ha ordinato di sparare e di uccidere è perché sa di essere condannato, sa che presto o tardi dovrà lasciare il potere e il Paese, anche se il figlio ha promesso di dotarlo di una Costituzione. Ha deciso che non se ne andrà prima di aver annientato quanti più libici possibile. È un uomo tragico: si "difende" come se a essere attaccata fosse stata la sua casa. Perché la Libia è la sua casa, la sua tenda, un suo bene personale. Non capisce come si osi pretendere ciò che lui considera un bene proprio. Quindi uccide. Non ha alcun senso del diritto né di ciò che è legittimo o meno. Ha vissuto tutta la sua vita al margine di ogni legge internazionale. Tutto ciò che è giuridico non lo riguarda. Si ritiene al di sopra della legge e schiaccia con le armi pesanti i manifestanti che chiedono di vivere con dignità, in libertà e in democrazia, valori che non fanno parte del suo universo. Nel Libro verde ha inventato un nuovo modo di regnare e di sottomettere il popolo convincendolo di avere il destino nelle proprie mani. Una menzogna, una vergogna.

traduzione di Guiomar Parada