Ormai la figura di Ferrara giganteggia dalla tivù ai giornali di Berlusconi. E la sua ultima furiosa crociata è fantastica: dimostrare agli italiani che se il Cavaliere è malato di bunga bunga la colpa è del peccato originale

Negli ultimi mesi "il Foglio" di Giuliano Ferrara, ormai ridotto a soporifero house-organ ciellino con qualche incursione nel bizzarro mondo degli ateodevoti, si era dato un colpo di reni con l'irresistibile rubrichina "Nichi, ma che stai a di'?", antologia quotidiana delle immaginifiche esternazioni di Nichi Vendola, governatore e poeta. Roba tipo: "Perché ho l'orecchino? mi piaceva l'idea di firmare il mio corpo, inserire una micromutazione nella mia corporeità"; "Le primarie so­no come il bambino che si porta all'orecchio la conchiglia per ascoltare il rumore del mare: sono il rumore della vita"; "Io sono reo di porto abusivo di sogno e tendenzialmente mi dichiaro colpevole".

Ora purtroppo la rubrica s'è interrotta, proprio in coincidenza con la pubblicazio­ne sul "Foglio" di ben tre paginate di ar­rapante dibattito sul "neopuritanesimo" tra Ferrara, Lanfranco Pace, Franco Cas­sano e Claudia Mancina. Titolo: "Quelli che non sanno com'è fatto l'uomo". Di­ciotto colonne di piombo dense di citazio­ni da Gesù a Kant, da Dostoevskij ad Adorno, da Hobbes a Locke, da sant'Ago­stino a Gehlen, da Machiavelli a Hegel, da Guicciardini a Gramsci e Primo Levi. Una corazzata Potemkin a mezzo stampa che, distillata frase per frase, potrebbe alimen­tare per anni una nuova rubrica: "A Giu­lia', che stai a dì?".

In evidente stato di al­terazione, Ferrara si produce infatti in me­morabili scampoli di prosa: «Il soggettivi­smo delle società occidentali. l'edoni­smo o l'eudaimonismo, cioè il diritto alla ricerca della felicità, si è inserito stabil­mente nella coscienza pubblica e privata, in forme estremamente criticabili».

Uno legge, trasecola e si domanda, co­me il Pasquale di Totò: chissà questo dove vuole arrivare. «Insomma, se oggi il Gran­de Inquisitore, la forma del dominio sul­l'uomo inteso come dominio necessario, come cura delle anime, come governo dei corpi, se il Grande Inquisitore parla la lin­gua delle istituzioni liberali e della demo­crazia e della ricerca della felicità, voglia­mo conciliarci con il Grande Inquisitore o no?». Roba da far rimpiangere i delirii vendoliani. «Andiamo al dunque, alla fi­losofia della politica: libertà ed emancipa­zione, come si definiscono alla luce di que­sta dialettica di bene e di male, di questa ambivalenza del male, di questa fragilità dell'uomo e di questa necessità di riscatto da questa fragilità, e dalla necessità anche di governarla?». Nella redazione del "Fo­glio" c'è chi cede di schianto, altri invece provano a fermarlo, ma invano. «Posso permettermi, essendo un vecchio comuni­sta totalitario, o un ratzingeriano se prefe­rite, e contemporaneamente uno stupido piccolo liberale metodologico che vive da vent'anni sotto l'ombrello di Berlusconi, posso permettermi di chiedere questo, che mi sembra proprio la radice del proble­ma. E cioè: l'emancipazione è autodeter­minazione dell'uomo al cospetto del co­smo e del creato e del mistero che ogni ra­zionalista deve riconoscere essere all'ori­gine? O l'emancipazione è una forma po­litica di definizione e quindi di limitazione della libertà umana, cioè l'emancipazione come criterio non negoziabile, dato?».

Giunti alla terza pagina, diciottesima colonna, gli eventuali lettori superstiti si domandano stremati con chi mai ce l'avrà la custodia di Ratzinger. «Possiamo dare un nome politico a questa supponenza. virtuista e neopuritana?. Cos'è questo fenomeno, a chi appartiene nella cultura e nella politica italiana questa supponenza di ceto verso le debolezze e le fragilità che sono terreno di conquista politica?. Ci terrei a conoscere non i nomi e i cognomi di intellettuali neopuritani incapaci di comprendere la realtà perché incapaci di comprendere l'umiltà del male. di consi­derarlo nella dimensione ambivalente del­l'esistenza umana storica, non solo nei ter­mini biblici del peccato originale. ma il nome e il cognome di questa cultura».Ah ecco, finalmente è quasi tutto chiaro: Ferrara ha tirato giù due millenni di filoso­fia per difendere il padrone che lo paga da chi osa criticarlo o processarlo per tangen­ti, frodi fiscali, concussione e prostituzio­ne minorile. E c'era bisogno di farla tanto lunga? Bastava dirlo subito. Il bunga bun­ga ha un alibi di ferro: il peccato originale.

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