I venerdì dell'"Espresso" - i lettori di "Questa settimana" lo sanno - sono immancabilmente scanditi da lettere e telefonate di protesta, talvolta anche di insulti. Intendiamoci, gli apprezzamenti e gli inviti a insistere prevalgono, ma più rumorosi sono certamente i distinguo, le precisazioni, le smentite, comunque quasi mai fondate e sempre rigorosamente bipartisan: si dolgono da destra e da sinistra, imprenditori e grand commis, ministri e deputati, sindaci e governatori, outsider e grillini. Perché mal sopportano, tutti, che si dica come stanno le cose. Ma stavolta, anche se lamentele ci sono state, le cose non sono andate come si immaginava. E la stranezza merita qualche riflessione.
Credevamo, infatti, che la copertina dedicata all'evasione fiscale avrebbe scandalizzato, suscitato indignazione, provocato sensi di colpa. Invece niente: silenzio, freddezza, indifferenza. E dato l'argomento c'è di che preoccuparsi. Che cosa abbiamo svelato con la nostra inchiesta? Semplicemente come stanno le cose. Abbiamo documentato per esempio che ogni anno sfuggono al controllo del fisco ben 180 miliardi di euro: quarantacinque volte il gettito Imu prima casa; che per stanare gli evasori l'Agenzia delle entrate dispone di uno dei più sofisticati sistemi informatici del mondo, ma che nonostante questo non riesce a recuperare al netto che 7 miliardi su 180 stimati. Spiccioli.
E ancora: che gli italiani spendono più di quanto dicono di aver incassato: e la differenza? Che undici milioni di connazionali, pur presentando dichiarazione, alla fine pagano zero euro; che più di quattro milioni di famiglie firmano dichiarazioni a dir poco incongrue; e infine che i governi, compresi quello tecnico del professor Mario Monti, che in altri tempi aveva incastrato Microsoft, e quello delle larghe intese di Enrico Letta, e pure le maggioranze parlamentari che li sostengono, sembrano perseguire tutti il medesimo disegno assai poco virtuoso: cercare le tagliole disseminate qua e là per catturare qualche infedele dell'erario e subito allentarle. Per paura che spezzino le gambe di potenziali elettori. Ultimo esempio, minimo ma significativo, la decisione di riportare da mille a tremila euro il tetto massimo all'uso del contante. Via ogni traccia.
Abbiamo scritto insomma che il partito degli evasori gode ottima salute e può pure contare su amici cari nel governo e nei partiti. Reazioni? Il silenzio. Anche da parte di chi è appena entrato in Parlamento proprio criticando le tante caste e i loro privilegi. Come per esempio deputati e senatori cinque stelle il cui programma elettorale conta 2504 parole, ma nemmeno una sull'evasione fiscale. Perché?
Potrebbe trattarsi di progressiva assuefazione: se ne parla, se ne parla ma non se ne viene mai a capo, fino a perdere ogni speranza. Statistiche alla mano - ecco un'altra interpretazione - si potrebbe dire che in una famiglia sì e una no si annida un piccolo o grande evasore, o almeno un profeta dell'elusione. A questa affermazione potrebbe seguire la constatazione che evidentemente chi paga le tasse fino all'ultimo euro appartiene a una minoranza, e pure silenziosa. Parallela a questa è la convinzione che sia del tutto vano cercare di spingere gli italiani sulla via della redenzione fiscale né vincere l'atavica diffidenza per tutto ciò che viene, tassazione compresa, da uno Stato sentito come lontano, inefficiente e nemico. Nemmeno di fronte all'evidenza che un miliardo di Iva, il cui aumento si fatica a cancellare, o il miliardo e mezzo necessario a rifinanziare la cassa integrazione sono noccioline a fronte del mare di evasione e di lavoro nero.
Fin qui ci hanno soccorso psicologia, sociologia e storia del costume nazionale. Poi c'è la serena certezza che solo un'infima percentuale di evasori finiscono nelle maglie del fisco e, se beccàti, se la cavano con una multa risibile. E infine c'è il triste sospetto che di questi tempi chi fa politica pensi ad altro. Per esempio a trovare il modo di impedire a Matteo Renzi di candidarsi a qualunque cosa. O a prendere la storica, finale decisione sulla resistibile ascesa di Daniela Santanchè. Amen.
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