Getta la spugna l’associazione di medici volontari che da 25 anni assistono gli immigrati a Castelvolturno. Non ce la fa più, abbandonata dalle strutture pubbliche. Ma così scompare la democrazia
10 gennaio 2014
La notizia è difficile da sopportare senza stringere i pugni per la rabbia. Senza aver voglia di urlare. Chiude l’Associazione di medici volontari Jerry E. Masslo di Castelvolturno. Chiude per troppi crediti. Mancavano pochi mesi e avrebbe festeggiato i 25 anni di attività. Non mi do pace. E rilancio. L’Associazione deve vivere, e alla sua festa dovranno esserci tutti, governo incluso. È imperativo. È un dovere. Ma sapete perché chiude l’Associazione Jerry Masslo? Associazione che cura gli immigrati senza far distinzione se clandestini o regolari, se con malattie gravissime o semplici raffreddori, che assiste musulmani, cristiani, evangelici, indù, copti, ortodossi? Chiude per responsabilità delle strutture pubbliche, le stesse che sinora si sono avvalse della collaborazione dei medici volontari per sopperire alla mancanza di servizi indispensabili tra la popolazione immigrata. «Dispiace ammetterlo – dice Renato Natale, presidente dell’Associazione – ma siamo giunti al capolinea. Abbiamo messo a disposizione il nostro tempo, la nostra professionalità e i nostri soldi, non sappiamo più cosa fare». Si è giunti al paradosso che sono volontari a sostenere lo Stato e non viceversa.
Quando si parla di convivenza, quando si parla di concreta presenza sul territorio e non di proclami, si sta parlando proprio dell’Associazione Jerry Masslo. Che ha fatto nascere bambini africani/italiani, che ha curato lavoratori dei pomodori, del calcestruzzo, allevatori, camerieri, prostitute, spacciatori, predicatori, camionisti. Ha aiutato chi aveva bisogno in una terra di disperazione, senza chiedere documenti a chi necessitava cure. L’associazione è nata a ottobre 1989, a fondarla Natale e altri sei medici. Tutto iniziò perché i medici volontari non riuscivano a sopportare che ci fossero persone costrette a vivere nella totale indigenza sanitaria.
Non sono in molti a ricordare chi fosse Jerry Masslo. Non sono in molti, e invece dovrebbe essere un simbolo in Italia. La sua vicenda dovrebbe essere raccontata nelle scuole, la si dovrebbe studiare. Bisognerebbe raccogliere su di lui tutte le informazioni disponibili e fare in modo che si prenda coscienza reale di cosa è stato il nostro paese e di cosa sia ancora: un luogo in cui le tragedie, le morti, le rivolte, le marce di solidarietà non servono a nulla, solo a lavare coscienze pronte a lordarsi un attimo dopo. La morte di Jerry Masslo ha portato il governo italiano a modificare la normativa per il riconoscimento dello status di rifugiato che fino a quel momento era riconosciuto solo ai cittadini provenienti dall’Europa dell’Est. La sua morte avrebbe dovuto costituire uno spartiacque tra un’epoca buia e una fatta di consapevolezza e studio dei nuovi flussi di migrazione. Jerry Masslo è nato e cresciuto nella stessa regione di Nelson Mandela, ha perso il padre scomparso in seguito a un interrogatorio della polizia e una figlia di appena sette anni durante una manifestazione, uccisa da un proiettile vagante.
Ha studiato in scuole per soli neri e ha deciso di lasciare il suo paese per sottrarsi alle persecuzioni razziali. Avrebbe voluto raggiungere il Canada dove nel frattempo erano in salvo sua moglie e i suoi due figli, ma una volta raggiunta l’Italia non riesce ad ottenere l’espatrio. Viene accolto dalla comunità di Sant’Egidio a Roma e decide di spostarsi per l’estate a Villa Literno dove vuole partecipare alla raccolta dei pomodori. Non immagina certo che le condizioni di lavoro siano tanto disumane. Jerry Masslo fu assassinato durante la sua seconda estate a Villa Literno, per essersi rifiutato di consegnare durante una rapina tutto il guadagno di quell’estate. Era il 25 agosto del 1989. Quell’omicidio fu un colpo durissimo per l’Italia, di quelli capaci di togliere il fiato, di spezzarlo per un tempo troppo lungo. Di quelli che ti fanno pensare che qualcosa si è rotto dentro di te. A ottobre ci fu la prima manifestazione antirazzista a Roma.
L’associazione nasce da questa sofferenza ed era un ponte in grado di costruire convivenza e rispetto. Di rendere Castelvolturno orgogliosamente la prima città africana d’Italia e di contrastare con la propria azione quotidiana il potere criminale delle organizzazioni mafiose nigeriane, potentissime sul territorio. Chiude l’Associazione, scompare la democrazia a Castelvolturno. Come abbiamo permesso tutto questo?