Si tratta di donne, purtroppo, e stringe il cuore: anche loro! E però la vita del governo Letta è stata contrappuntata e terremotata proprio dalle gesta di tre ministre, Josefa Idem, Annamaria Cancellieri e ora Nunzia De Girolamo. Tre diverse stagioni della politica all’italiana. Tre diversi modi di intenderla. Che accompagnano come in un diagramma lo stato di salute dell’ex gabinetto delle larghe intese.
Con Josefa, grande canoista e inattesa ministra dello sport, tutto è stato facile. La poveretta, forte di una medaglia d’oro ma non di clientele e correnti, inciampa nella tagliola solo due mesi dopo la nascita del governo Letta - ricordate? - per la storia piccina di una palestra abusiva e di un’Ici non pagata. Forza del contrappasso per una coalizione inchiodata fin dal primo giorno all’incubo tassa sulla casa. E forza del paradosso per via di una tedesca di nascita talmente naturalizzata italiana da non resistere al fascino dell’abuso edilizio e dell’evasione fiscale… Ma il governo è ancora forte, alle porte premono grillini e filosofi dell’anticasta, bisogna agire di conseguenza. La Idem mostra coraggio e stile levando subito il disturbo, manco fossimo in Germania.
Le cose si complicano con Annamaria Cancellieri, titolare della Giustizia, anche perché la vicenda è ben più hard di un abuso edilizio, più scivolosa del mancato pagamento dell’Ici. Esplode a novembre, settimo mese di regno Letta, sulla scia delle indagini della Procura sul crac Fonsai, e i dettagli sono succulenti. Il ministro avrebbe fatto pressioni sui capi del Dap, l’amministrazione penitenziaria, perché venisse scarcerata la figlia di Salvatore Ligresti, vecchio amico di famiglia e datore di lavoro del figlio, poi lautamente liquidato per pochi mesi di incarico. Il peso dei protagonisti è diverso, certo, e Letta non è così forte da imporre le dimissioni alla Cancellieri, però è ancora sufficientemente robusto per difenderla a spada tratta e rinviare a chissà quando, magari a un rimpasto, la sostituzione di una ministra in difficoltà per l’ennesima raffica di intercettazioni.
Ma non finisce qui. Poco dopo, e siamo a oggi, una vicenda all’inizio ben meno pesante e che ha per protagonista un personaggio apparentemente minore, rischia di essere per Letta la più insidiosa. Quella di Nunzia è solo una storia di paese, di famiglia e di combriccola. Di piccoli e grandi favori (il bar dello zio, le mozzarelle di un amico, la Asl, gli appalti), di clan che fanno il salto da Benevento a Roma e di linguaggio spregiudicato, di vendette e di rivincite (i Mastellas rilasciano interviste da statisti e se la ridono dei Boccias).
La ministra non è indagata, è vittima di intercettazioni abusive, ma i relativi tabulati sono depositati in Procura, quindi pubblici. Ma soprattutto è militante nel neo partito di Angelino Alfano, il ministro che ha sfacciatamente mentito nel caso Ablyazov, colpa assai più grave delle altre, e intesse rapporti di favore (cercasi casa a Roma, e l’ha avuta) con quel gran generoso di Ligresti, ancora lui; in più Nunzia è moglie di un importante deputato del Pd con il quale condivide anche qualche relazione di potere (pag. 26): così, da che ne era il sigillo, il loro matrimonio è oggi il simbolo della crisi e della difficoltà delle ex larghe intese. E dunque non è facile sbrogliare la matassa senza sfilacciare tutto. Anche perché il governo è a un punto delicato della sua sceneggiatura e ogni scusa è buona per indebolirlo: insomma, o si svolta e si procede per un anno, o va tutto a ramengo.
Cosa hanno in comune i tre casi? Una morale. Ai protagonisti non sono stati rimproverati fatti di rilevanza penale, ma sorprende che anni dopo il processo alla Casta, il diffondersi del grillismo, dei populismi e delle demagogie, di Twitter e di Facebook, non ci si renda conto che coprirsi dietro il paravento del “così fan tutti” è ridicolo se non suicida; né si comprenda che proprio l’esplosione del caso in assenza di rilievi penali (al netto di nuove intercettazioni) dimostra che la questione riguarda la politica, i suoi doveri e l’esigenza di trasparenza e di comportamenti irreprensibili, oggi più che mai. Specie per un politico parlamentare e ministro «tradizionalmente identificato come “onorevole” dovendo le sue funzioni essere adempiute con onore» (Alessandro Pace, “la Repubblica”, martedì 14 gennaio). Perché non nasca il più lontano sospetto. Dalla moglie di Cesare alla moglie di Boccia.
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