Sette senatori democratici votano contro l’inchiesta della Procura di Trani sul loro collega Antonio Azzollini. Felice Casson invece si esprime a favore. Non sarebbe male sapere chi di loro ?è veramente ?fuori linea

Chi sono i dissidenti del Pd? I tre senatori che non votano la fiducia sulla delega in bianco al governo Renzi per cancellare lo Statuto dei Lavoratori? O il segretario-premier e i suoi cari che, con il Jobs Act come con la controriforma della giustizia, con Senato dei nominati come con l’Italicum, tradiscono il programma su cui il Pd vinse (di un soffio) le elezioni del 2013?

Se si esce dal tema delle cosiddette riforme e si esamina l’attività parlamentare quotidiana, l’interrogativo si fa ancor più avvincente. Il 7 ottobre, dopo nove mesi di melina, la giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato - la stessa che un anno fa votò in quattro mesi la decadenza del pregiudicato Berlusconi Silvio - doveva esprimersi pro o contro la richiesta della Procura di Trani di poter usare quattro telefonate del senatore Ncd Antonio Azzollini, intercettate indirettamente, cioè casualmente sulle utenze di alcuni indagati.

L'inchiesta riguarda il nuovo porto di Molfetta, progetto faraonico da 150 milioni voluto da Azzollini quand’era sindaco forzista della città prima di traslocare a Palazzo Madama. Il cantiere, affidato alla solita coop rossa Cmc di Ravenna, la più amata da Greganti e dai compagni al seguito (Tav Torino-Lione, Expo2015 ecc.), è sotto sequestro da mesi per i danni devastanti che provocherebbe all’ambiente, visto che in quello specchio d’acqua sono sepolte migliaia di bombe ecologiche mai bonificate. L’ennesima bicamerale degli affari tra pezzi di centrosinistra e centrodestra. «Dopo le transazioni - dice Azzollini nel maggio 2009 a un dirigente pubblico indagato - ognuno deve avere il suo... il suo, diciamo, beneficio... Poi ti dirò tutto... chi incontriamo e che riusciamo a fare... Vedi di andare a prendere l’autorizzazione da questi della Regione». Un’altra volta, parlando di un funzionario riottoso, aggiunge in dolce stil novo: «Io a quello gli do due cazzotti». Di qui le accuse a quello che i pm definiscono «il regista nella gestione dei plurimilionari finanziamenti» pubblici: truffa aggravata allo Stato e associazione per delinquere. Ma, a parte vegliare sugl’interessi incrociati destra-sinistra, Azzollini è pure il potentissimo presidente della commissione Bilancio che ha in mano la legge di Stabilità e l’uomo forte del Ncd di Alfano che nei sondaggi sfugge ai radar, ma in Parlamento gode di ottime rendite di posizione dopo la scissione da Fi e ha appena garantito il passaggio del Jobs Act al Senato.

Così, il 7 ottobre in giunta, il Pd ha unito amorevolmente i suoi voti a quelli di Ncd e Lega Nord (i berluscones tanto per cambiare erano assenti) per respingere la richiesta della Procura. Lasciando soli i 5Stelle a votare sì all’uso di quelle indecenti conversazioni, insieme al “dissidente” Felice Casson. Questi era il relatore della pratica e aveva concluso per il sì, escludendo l’unico ostacolo che per legge può giustificare il no: il fumus persecutionis. Ma il suo partito gli ha voltato le spalle e l’ha abbandonato. Quando tutto era pronto per il voto, il capogruppo in giunta, tal Giuseppe Cucca, anziché fare la dichiarazione di voto, ha chiesto una sospensione (fatto mai accaduto) per riunire in extremis i sette senatori pidini (meno Casson). I quali, 20 minuti dopo, son tornati in giunta e han votato compatti come falange macedone a protezione del povero Azzollini. «Decisione unanime, ma spontanea: nessuna pressione», giura Cucca fra le risate generali.

Qualcuno racconta di una minaccia di telefonare a Palazzo Chigi nel caso in cui qualcuno seguisse la linea Casson.Altri ricordano che già in mattinata i Magnifici Sette erano stati convocati dal presidente dei senatori Luigi Zanda,che li aveva ammoniti (dopo nove mesi) a “leggere bene le carte e votare secondo coscienza”. La coscienza di Azzollini, s’intende. Ora, se l’aula confermerà - com’è probabile - il voto della giunta, il supersenatore verrà processato senza quelle prove decisive a suo carico.

Resta solo da capire chi sia il dissidente: i sette compagnucci che salvano il senatore indagato? Ma certo che no: il dissidente è Casson, colluso con la legge, con la giustizia e con la Costituzione.