Dopo il referendum i leader europei hanno tirato un respiro di sollievo. Errore. Perché dalla Catalogna alle Fiandre le spinte autonomiste sono ancora potenti. E anche l’Italia continua a ignorare la questione settentrionale

I leader politici europei che si trovano nella non invidiabile posizione di capi di governo hanno tratto un profondo respiro di sollievo dal risultato del referendum scozzese. È una cattiva notizia, poiché significa che cercheranno ancora di rimuovere il problema istituzionale che ci assilla. Nessuna estrapolazione ha senso da quanto è avvenuto in Scozia a quanto sta avvenendo e minaccia di avvenire nel Continente. Assumere la vittoria del “no” a testimone di un mutamento di clima a proposito di micro-nazionalismi, indipendentismi e secessioni può voler dire soltanto insistere testardamente nel rifiutare di comprenderne le cause storiche e sociali, o ignorare come affrontarle.

Le leadership europee rimangono culturalmente i più ostinati paladini dell’antica forma-Stato, si tratti di Spagna o di Ucraina, malgrado uomini come Spinelli, di cui,da noi, si finge di onorare la memoria. E di questa idea fissa hanno permeato, nei decenni, le istituzioni europee, facendone un insuperabile modello di parlamentarismo “discutidor” e di centralismo tecno-burocratico. In Scozia il “no” è stato un grande “sì” a un processo di devolution, in parte già attuato, in parte saldamente garantito, che nessun altro governo europeo è al momento disposto ad accettare.

Sotto la pressione opposta e complementare delle potenze globali e dell’esplodere di movimenti, tra loro diversissimi, alla ricerca di identità locali e nazionali, la via da percorrere non poteva che essere quella di un autentico federalismo, sia all’interno di ciascun Stato, che a livello dell’Unione. Non si è voluto neppure riconoscerla. La crisi economica, per sua natura fattore di scelte accentratrici, sembra averla definitivamente affossata. Col risultato che quelle che potevano essere governate, ancora due decenni fa, come rivendicazioni volte a ottenere un nuovo foedus, appunto, tra governo centrale e autonomie nazionali, regionali e locali, si sono trasformate in lotte dichiarate per una completa indipendenza. Ognuna di esse ha la sua specificità culturale, ideologica, politica. E su questa divisione possono ancora “contare” i governi centrali. Ma la loro Santa Alleanza resiste tramontando solo grazie all’indiretto appoggio degli “automatismi” finanziari globali - e ciò non fa altro che rafforzare ideologie nazionalistiche e nostalgie di piccole patrie. Che sarà dopo il referendum in Catalogna e il suo esito scontatissimo? Comprenderanno le nostre nobili e antiche famiglie socialdemocratiche, popolari, gaulliste, che il vecchio Stato, col suo potere indivisibile e i suoi sacri confini, vive una crisi irreversibile da cui non si uscirà mai attraverso una sua riproduzione allargata su scala europea? L’unità politica europea diverrà un’idea spettrale, travolta da indipendentismi di ogni tipo, se finalmente non sapremo declinarla in chiave federalistica.

E ciò vale all'interno di ogni Paese. Ogni Paese è responsabile del modo in cui intende reagire al tramonto dell’idea europea. In Italia nulla di comparabile a Scozia, Catalogna, Fiandre, ecc. Ovvietà. Ma rotture che hanno un fondamento sociale e economico possono essere anche più profonde e pericolose. Non inganni la fine dei culti padani e delle grida secessionistiche. Il folklore ha nascosto e mistificato una crisi radicale dell’unità nazionale, le cui ragioni sono ancora tutte lì, e sono esplosive. È possibile continuare a ignorare quei poveri diavoli che hanno raccontato in questi anni dati e fatti della “questione settentrionale”, ma questi rimangono come un macigno. È possibile pensare al leader maximo che risolve da Palazzo Chigi e da Bruxelles ogni problema, ma questo continua a non essere vero. I territori che sono nodi fondamentali della rete economica, di cui l’Italia è parte, vanno ascoltati e sostenuti. Il treno non partirà mai se la locomotiva sta ferma, se le sue energie sono destinate soltanto a riscaldare male il convoglio. Autonomia, responsabilità, sussidiarietà sono strategiche per l’Europa, ma per il Nord, in Italia, sono, ora e subito, l’ossigeno necessario perché non crepi l’intero Paese.

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