Una ricerca su basi scientifiche dimostra che l’abitudine alla lettura fa provare sentimenti positivi e aiuta a vivere meglio

Ero bambino e ho questo ricordo di mia madre che leggeva. Per lei leggere era qualcosa di estremamente vitale. Non si trattava solo di un piacere o di informarsi. Coincideva proprio con la sua possibilità di riuscire a fare tutto il resto. È questa dimensione di necessità che ha accompagnato la mia esperienza di lettore da sempre. Da quando le mie mani ancora esili si indolenzivano nel reggere per qualche ora quei libroni cartonati che spesso si regalano ai più piccoli. Copertine colorate, fogli più pesanti e lettere più grandi perché l’ingresso in quel mondo d’immaginazione potesse avvenire nella maniera più semplice.

E così, quando da piccolissimo ti abitui a quei silenziosi dialoghi, poi difficilmente riesci a farne a meno crescendo. Diventa un confronto necessario nel suo essere quotidiano e costante. Quando per qualche motivo si smarrisce il tempo da dedicare alla lettura, la giornata sarà passata senza aver pienamente avuto il suo senso. E resterà l’impressione di aver perso qualcosa di irrecuperabile. Il tempo per la lettura si è smarrito. La drammatica crisi dell’editoria non è generata dall’ebook o dalle edizioni supereconomiche. Nient’affatto. È data dall’assenza di tempo divorato dalla frenesia del web. In treno, in aereo, a letto, tra le mani non ci sono più pagine ma smartphone. La mia è nostalgia del passato? Un po’. Luddismo antiweb: mi piacerebbe, ma non sono così stolto. Preferisco lavorare su queste piattaforme per dare spazio ai libri. Per restituirgli il tempo perduto.

Odio i traslochi perché ne faccio troppi, ma c’è una sola cosa che mi dà piacevolezza di questa meccanica fatica: riprendere in mano i libri che hanno convissuto con me e condiviso quei luoghi per qualche mese.
Mi capita di citare questa frase di Umberto Eco: «Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro». E quindi chi legge avrà strumenti aggiunti alla propria vita; strumenti che vengono da esperienze che per noi hanno vissuto altri.

Sono grato a mia madre e a mio nonno per la costante iniziazione al libro. È un percorso che dovrebbe essere considerato fondamentale; nessun bambino leggerà se non vede i genitori leggere, nessun bambino leggerà se casa sua è senza libri.

Fin qui sulla lettura, sull’importanza dell’esempio, dell’imitazione. Sarà più facile che mi venga voglia di leggere se vedo persone che leggono attorno a me. Se chi mi sta accanto mi invita alla lettura. Se chi mi sta accanto mi insegna a trovare tempo da dedicare ai libri.

Ma poi ho letto di un sondaggio che mi ha molto incuriosito. Si parla di mercato editoriale, di quali libri si vendono, di classifiche e gradimento. Di come l’Italia sia un paese di lettori deboli (secondo l’Istat, nel 2014, il 58,6% degli italiani non ha letto un solo libro nei precedenti 12 mesi), ma non si parla mai davvero di come vive chi legge e di come vive chi non legge. O meglio, siamo convinti che chi legge abbia più strumenti, sia meno inconsapevole e forse anche meno influenzabile di chi non legge. Non solo, a quanto pare è anche più felice.

"La felicità di leggere" si chiama una ricerca commissionata da GeMS (Gruppo editoriale Mauri Spagnol) in occasione del proprio decimo compleanno e affidata a Cesmer, Centro di studi su mercati e relazioni industriali dell’Università di Roma Tre. La ricerca ha utilizzato diversi parametri mutuati dalla letteratura scientifica. Le differenze nelle vite dei lettori e dei non lettori sono state riportate su tre scale differenti (scala di Veenhoven, scala di Cantril e scala di Diener e Biswas-Diener) e i risultati coincidono: chi legge è più felice, prova una gamma maggiore di sensazioni positive e una minore di sensazioni negative e riesce a contenere la rabbia. Che sia stato un editore a commissionare questo studio la dice lunga su un aspetto che trovo centrale: non è importante solo valutare cosa si legge più spesso e soprattutto cosa si compra, ma sapere che chi pubblica libri, di qualunque genere e livello, sta lavorando per rendere un po’ più felici gli altri. Non c’è niente di più bello che sapere che il proprio lavoro possa contribuire alla felicità altrui.

L'edicola

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