Oltre la paralisi parlamentare, qualcosa si muove. ?I 5Stelle hanno un candidato, e Renzi potrebbe accordarsi con loro, invece che con una destra debole e divisa

A dire il vero, il Parlamento ha sempre faticato a eleggere i giudici costituzionali di sua competenza. Un anno fa, per esempio, Giorgio Napolitano, preso da «sconforto e amarezza», inondava Camera e Senato di moniti perché si sbrigassero a trovare un accordo. Alla fine, per spezzare l’immobilismo, pensò addirittura di annunciare con congruo anticipo due nomine di sua spettanza. Per la stessa ragione ventitré anni prima Francesco Cossiga, più aduso al piccone che al monito, aveva accompagnato un formale messaggio di sollecito con una più concreta minaccia di scioglimento delle Camere. E pochi giorni fa perfino il prudente Sergio Mattarella è stato costretto ad ammonire perché subito dopo il superponte dell’Immacolata (undici giorni) e subito prima delle feste di Natale, le Camere adempiano finalmente al loro diritto-dovere e restituiscano il plenum alla Corte.

Allora, nulla di nuovo sotto il sole? In verità, mai l’attesa era stata così lunga e così ampia la vacatio: da diciassette mesi, quasi un anno e mezzo, e nonostante 29 votazioni, tre poltrone su quindici sono vuote. Da qui la decisione di votare a oltranza da lunedì 14 dicembre, appuntamento ogni sera alle 19. È emergenza istituzionale. Ai tre vuoti si è aggiunta infatti una presenza assai saltuaria di un quarto giudice malato da tempo, insomma la Corte opera a ranghi ridotti e certo non può esimersi dal pronunciarsi su quesiti importanti, come di recente la legge Severino; e basterebbe un’altra sola defaillance per non raggiungere il numero legale di undici.

Finora, inoltre, la Corte è stata fortemente squilibrata a vantaggio della componente togata, generalmente più compatta se non altro per ragioni di casta e di appartenenza, e quindi destinata a prevalere visto che le basta conquistare un altro solo “sì” per imporre il proprio punto di vista. Non è cosa da poco. Nonostante tutto, la Suprema Corte si fonda su un delicato equilibrio: un terzo dei giudici è scelto dal Capo dello Stato; un terzo dai magistrati ordinari e amministrativi; e un altro terzo dal Parlamento chiamato, nelle intenzioni dei padri costituenti, non a lottizzare pro quota ma a individuare cinque personalità di spicco tra giudici, avvocati e professori universitari, proprio per evitare che la Corte si trasformi in un’appendice del Parlamento. Rischio corso tutte le volte che i partiti si sono incaponiti a proporre chi aveva lasciato il mestiere per la politica, magari usandola come trampolino per la Consulta, minando così quell’equilibrio e rendendo più difficile una nomina che necessita del voto di tre quinti dei deputati e senatori riuniti in seduta comune.

Difficile. Oggi ancora di più. Nella Prima Repubblica regnava il Manuale Cencelli, non solo per Rai, banche e partecipazioni statali, ma anche per la Corte. Dei cinque membri politici, due li indicava la Dc e gli altri tre, uno ciascuno, Pci, Psi e laici. Se si rinunciava al nome troppo caratterizzato, tutto filava liscio. Adesso invece i partiti non sono più solidi e strutturati, vigono il caos e il cambio di casacca. Basterebbe guardare alla reale composizione del Parlamento, prendere atto che le forze più rappresentative sono tre e lasciare che ne scelgano uno ciascuno Berlusconi, Renzi e i 5Stelle. Ma data la soglia di consensi da raggiungere, ogni nome deve piacere agli altri due, mica facile. Senza contare che oggi nessuno ha più il potere di orientare il voto delle proprie truppe. E infatti per un anno e mezzo, tutto fermo. E poi, finora ha pesato assai il preambolo Renzi che pensa alla Corte come alla spiaggia dove approderà l’Italicum, approvato tra contestazioni e mal di pancia. E dunque intenzionato ad assicurarsi giudici fan della sua nuova legge elettorale. Si cerca di spiegargli che non può finire tre a zero.

Stallo. Ma, sotterraneamente, qualcosa si muove. È vero che già un anno fa, dinanzi a un blocco simile, con i loro voti i Grillo boys avevano consentito l’elezione di Silvana Sciarra, ma si trattava ancora di un nome fatto dal Pd pur se alternativo a quello, poco gradito, di Luciano Violante. Stavolta invece, bruciando i tempi, i 5Stelle hanno avanzato una loro candidatura stando attenti a scegliere un costituzionalista, Paolo Modugno, certo non sospetto di grillismo rampante. Un altro cambio di passo, un segno che qualcosa sembra cambiare da quelle parti. E che potrebbe spingere Renzi a cercare un altro forno al posto di una destra frantumata o di un centro poco incisivo e debole.

Twitter @bmanfellotto

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