L’affare della Banca Etruria è esploso proprio nei giorni della Leopolda. Il governo Renzi ?inciampa su una storia che sa di Prima Repubblica

Per uno di quei paradossi di cui si nutre la vicenda politica, il sogno del partito della Nazione s’è interrotto ad Arezzo, capitale 2015 dei pasticci bancari all’italiana, dalle parti di Banca Etruria sotto indagine della Banca d’Italia, sotto inchiesta della magistratura e simbolo massimo delle paure del risparmiatore costretto dalla perfida Europa a bruciare azioni e obbligazioni sull’altare del salvataggio. Ma non c’è da meravigliarsi, perché il paese dei mille campanili e delle mille banche poggia uno dei suoi pilastri proprio sulla discrezionalità - tollerata, talvolta perfino incoraggiata - del connubio tra politica e clientela. Per un altro paradosso, poi, il caso è esploso proprio nei giorni della Leopolda, convocata per festeggiare la nuova classe dirigente al potere da meno di due anni e voluta senza bandiere né simboli di partito, ma aperta alla società civile. Che stavolta si è però manifestata con il dissesto di quattro banche locali, una storia che ha un sapore da Prima Repubblica.

Maledette banche. Una nemesi sembra scandire la storia recente del Pd. L’intercettazione di una telefonata tra Piero Fassino e Giovanni Consorte sull’affaire Unipol-Bnl («Abbiamo una banca»), diffusa strumentalmente da Silvio Berlusconi (la magistratura lo ha accertato scagionando Fassino), mise a rischio la vittoria del centro sinistra nelle politiche 2006; il crac Mps si abbatté come un ciclone sui big della Ditta alla vigilia delle politiche 2013, tanto che Matteo Renzi volle segnare la sua discontinuità chiudendo la campagna per le primarie del Pd proprio a Siena. Oggi l’allarme viene da Arezzo e per di più lambisce Maria Elena Boschi, immagine del governo delle riforme, per via di quel profumo di conflitto d’interessi che avvolge babbo Pierluigi. Nel cuore poi di quell’Italia, lontana da Roma, che non gufa.

E di certo non aiuta a mettere al riparo il governo l’imbarazzante rimpallo di responsabilità tra Palazzo Chigi e autorità di vigilanza: Banca d’Italia, per esempio, sostiene che tocchi alla Consob bloccare i titoli sospetti; ma Consob rivela di non avere i poteri per farlo (chi, allora?) e accusa il governo di averla esclusa da ogni tavolo; anche Banca d’Italia ce l’ha con il governo per quella legge sui titoli derivati e subordinati più volte chiesta e mai ottenuta, e pure per non aver pensato ad aiuti pubblici prima che Bruxelles ponesse il veto; intanto Renzi lascia trapelare dubbi sull’una e sull’altra authority, sospetta falle nella vigilanza, fa capire che è stata la Banca centrale a chiedere di rinviare la riforma delle popolari, banche pressoché incontrollabili, a salvataggio concluso. Rilanciandosi la palla sono passati tre anni.

Adesso i protagonisti di questa triste telenovela dicono di aver fatto tutto ciò che dovevano. E però qualcosa non ha funzionato se il risparmiatore è stato tutelato poco e il riassetto gestito male. Ma ancora non è chiaro a che livello ci sia stato l’errore, l’omertà, la negligenza. E perché ciascuno poi abbia lasciato fare. Come stavano davvero le cose, in effetti, la Banca d’Italia l’aveva già detto e scritto nel 2013. Ma poi ha prevalso il mantra del “tutto s’aggiusta”, la logica del sopire, chetare, non diffondere panico, in attesa che funzionassero i vecchi strumenti: un aumento di capitale, un po’ di obbligazioni mollate a investitori benevoli e risparmiatori miopi e infine l’arrivo di un cavaliere bianco.

L'abbraccio generoso di qualche altra banca avrebbe salvato azionisti e obbligazionisti, sì, ma anche nascosto per sempre la realtà di istituti dissestati da crediti facili, favori agli amici degli amici, investimenti azzardati e amministratori finanziati in conflitto di interessi. Molte banche locali costituiscono ancora il magico triangolo affari-politica-clientela, un sistema non necessariamente corruttivo ma chiuso e autoreferenziale che innalzando il tabù del localismo sfida il potere centrale, spesso condizionato da cacicchi di periferia, e frena ogni ipotesi di cambiamento: oggi Etruria, Marche, Cariferrara e Carichieti; ieri Mps, Popolare di Milano, Carige, Veneto Banca. Insomma, se si vuole davvero cambiare verso e restituire fiducia a banche, authority e governo, bisogna affondare il coltello nelle comode retrovie di territori intoccabili. Sempre che non si voglia girare l’incarico alla magistratura. E, un minuto dopo, urlare contro la repubblica dei pm.

Twitter @bmanfellotto

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