Il Pd sembra guardare solo verso la destra. E invece far scendere i grillini dalle barricate gli converrebbe e farebbe bene alla democrazia
Dopo vent'anni di scontri all’arma bianca tra la destra forzaleghista e postfascista da un lato, e il centro-sinistra variamente aggregato dall’altro, il Pd fatica ad accettare l’idea che il conflitto politico, oggi, abbia dinamiche diverse; e cioè che non sia più bipolare, bensì tripolare: destra, sinistra e Movimento 5 Stelle. La coppia Berlusconi & Salvini, in un remake dei tempi belli del duo Cav e Senatur continua ad essere additata come l’avversario principale del Pd. Certo, a meno che non abbia ragione un novello apprendista stregone della politica quale il sindaco di Firenze, Dario Nardella, che prefigura l’evanescenza della distinzione tra destra e sinistra, il Pd si contrappone, in primis, alla destra. Perché il Pd sta a sinistra e rappresenta la sinistra, come Matteo Renzi ha avuto modo di ribadire tante volte. E non solo l’ha detto a chiare lettere: lo ha anche dimostrato portando il partito, finalmente, dopo le tante resistenze degli ex democristiani, nell’alveo del socialismo europeo.
Ora però il quadro è più complesso. Per quanto la divisione destra-sinistra sia profondamente radicata nel nostro elettorato, ne è cresciuta un’altra che contrappone vecchio a nuovo, establishment a popolo, politici a cittadini. Una divisione che ha alimentato una terza componente politica, interpretata dal M5S. Il movimento creato da Grillo prospera e avanza grazie ad alcuni temi populisti - il sentimento antiestablishment e antieuropeo - ma non solo.
Il suo successo poggia anche sull’invocazione di moralità e legalità per difendere il cittadino dai soprusi e dalle angherie dei “potenti”, su una posizione accogliente ma ferma di fronte all’immigrazione, sul reddito di cittadinanza, e sulle tradizionali iniziative ambientaliste. Il pastiche ideologico-politico del M5S gli consente di attraversare il confine tra destra e sinistra (anche se la sua classe dirigente è sempre più chiaramente orientata a sinistra) e per questo avanza ancora. In più, si sta radicando. Ha superato indenne la formazione di una classe dirigente, ha sganciato la sua immagine da quella di Beppe Grillo il cui nome è scomparso dal simbolo (un passo indietro più unico che raro in tempi di partiti carismatici e personalisti), ha esteso la sua rete di
meet up e di iscritti certificati, e presenta liste in quasi tutti i comuni nei quali si andrà al voto l’anno prossimo.
La dinamica politica è quindi cambiata: non c’è più soltanto lo scontro a due, destra contro sinistra, ma il gioco è a tre. Il problema è che il Pd non ne tiene conto. Ultimo, clamoroso esempio, le nomine per la Consulta. Renzi continua a privilegiare un accordo con Berlusconi a costo di sostenere persino gli ex avvocati del Cavaliere, disdegnando i 5Stelle. Questa torsione verso destra dei democratici crea solo danni a Renzi perché apre spazi ai grillini. Infatti il Pd non guadagna nulla da questo atteggiamento conciliante verso i residui berlusconiani: quell’elettorato non verrà mai sulle sponde della sinistra. Il Pd ha chance di vittoria solo se riporta al voto tutti gli elettori “ulivisti in senso lato” che ha perso in questi lustri. E per farlo, oltre a chiudere a destra deve tamponare la crescita del M5S. Come? Portandolo nei tavoli negoziali, facendolo entrare nel sistema.
Certo che i grillini sono intrattabili e indisponenti, e recalcitrano per timore di contaminazioni: di perdere l’anima. Per questo alzano barricate e sparano a pallettoni. Per paura di entrare nel gioco. Ma un partito responsabile e maturo lascia cadere le provocazioni. Ricacciare invece il M5S in un angolo li conforta nella loro posizione alternativa, offrendo loro una magnifica rendita di posizione. Se il Pd non vuole far crescere ancora un avversario temibile, meglio che adotti una modalità relazionale diversa con i 5Stelle per farli scendere dalle barricate e metterli alla prova. Il confronto sul merito delle proposte e sulle scelte non solo consente al Pd di prendere le misure del suo più temibile avversario, ma fa bene anche alla democrazia perché riporta tutti al tavolo di gioco.