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Opinioni
dicembre, 2015

Goethe, Nietzsche e l’attimo fuggente

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Nel suo ultimo libro Claudio Magris inventa ?un linguaggio per affrontare le domande fondamentali

«Per quel che mi riguarda non ho abbastanza confidenza neanche con me per darmi del tu. Figuriamo poi se potrei dire “io”. Nessuno mi ha sentito mai dire questa parola. Davvero indecente. Lui invece va bene. Non c’entra con quello che facciamo noi, è uno qualunque, non c’è da preoccuparsi, non ci riguarda più di tanto. Diamoci dunque sempre del Lui anche quando parliamo con noi stessi, per favore. In fondo è quasi come darsi del Lei come fanno tutti… Il Tu ci sarà quando si accorgeranno che è stata abolita la morte, Amor-Te».

Lo scorso 16 dicembre abbiamo presentato al teatro Eliseo di Roma il libro di Claudio Magris. Forse qualche giornale ne parlerà, di lui soprattutto e del libro che ha un titolo. Non spetta a me, a lui, dire il titolo del libro. Chi l’ha fatto non si sa, forse lui, forse loro, ma loro chi sono? I lettori? L’Editore? Gli spettatori al teatro? Il titolo del resto non serve a niente, è un’interpretazione del tutto arbitraria d’un libro, ma essendo un’interpretazione è del tutto personale, quindi cambia di continuo perché loro sono tantissimi e ognuno di loro è lui, anche l’autore del libro. Quanto a me ho sempre pensato che il me e la sua coscienza vivono attraverso le interpretazioni che sono tante quanti siamo me, cioè loro. Lo diceva anche Eraclito, e Nietzsche: l’interpretazione è tutto, il mondo e anche il sovramondo non sono che interpretazioni, ma di loro, anzi di lui cambiano di minuto in minuto, anzi di attimo in attimo perché lui, noi, di attimo in attimo, siamo diversi dall’attimo che ci precede e da quello che lo seguirà. L’attimo è fuggitivo, lo diceva il dottor Faust, anzi il dottor Goethe, anzi Nietzsche, ma lo dico anche Io, cioè Lui, che poi diventò pazzo, baciò un cavallo e furono trasformati lui nel cavallo che aveva baciato e il cavallo in Dioniso e Dioniso nel Crocifisso.

«L’arte della guerra ha autori, non un autore. Anche se, pur senza voler essere presuntuoso, credo che - ma non ha importanza. Continuo ad usare queste forme convenzionali della grammatica e questi tempi senza senso, il presente che appena c’è non c’è più e dunque non è, e il futuro che non c’è mai. I tempi grammaticali non esistono più, sono al massimo dei tic verbali, riempitivi e intercalari tanto per prender fiato quando non si sa cosa dire. In principio era il Verbo, ma qui non c’è principio e dunque neanche il Verbo. Tutti i bambini dicono “io” quando parlano dei loro giochi, anzi tutti dicono “io” quando parlano. Io è ognuno, è il pronome più generico e impersonale, non serve a designare nessuno. Per questo lo si può usare senza vergogna».

Quando l'autore scrive queste sue riflessioni nel libro che noi e lui abbiamo presentato al teatro Eliseo, si è capito che si serve di questa forma, cioè di questo linguaggio per affrontare e in qualche modo risolvere altri problemi e rispondere in modo nuovo e assai originale a due domande fondamentali. Per esempio il Verbo che non c’è più, anzi non c’è mai stato e non perché il Verbo non abbia un significato. Per chi crede che ci sia stato un principio, il Verbo è quel principio, ma se un principio c’è qualcuno deve averlo creato. Dicono che sia stato il Verbo a creare il principio ma allora si pone la domanda di chi ha creato il principio. Non c’è risposta possibile a questa domanda perché si ripete continuamente e senza mai fine: chi ha creato il creatore? E chi ha creato il creatore del creatore? Ad un certo punto stanchi d’una domanda che è sempre e immutabilmente la stessa perché la stessa è sempre la risposta, dobbiamo rispondere che prima del creatore c’era il nulla. Dunque il nulla ha creato il creatore? Domanda priva di senso. Dunque l’autore con poche parole opportunamente rilasciate ha liquidato tutte le possibili risposte in modo definitivo. Ma questa tesi è all’origine delle religioni, dunque l’autore ha liquidato anche le religioni oppure ci ha fatto capire che le religioni sono il solo modo di vivere la vita con tranquillità, non rispondendo con la logica e la fantasia ma con la fede. La fede però - penso io - non viene dall’alto ma è una nostra induzione che ci fa vivere sereni. È possibile dubitare che abbiamo inventato l’entità che aveva il compito di rassicurarci? Evidentemente sì, è possibile. Del resto il mondo vive di interpretazioni e chi inventa è a sua volta sospinto da un desiderio. La mitologia elaborata più di tremila anni fa configurò Eros come il signore dei desideri.

Questo l'autore del libro lo sa, e sa anche che io so che lui lo sa e anche loro e noi lo sappiamo. Ma sappiamo anche che questi filosofemi sono privi di senso; sappiamo che la ragione pratica è assai più importante della ragione pura e perciò non c’è luogo a procedere, come l’autore insegna a noi tutti mettendo questo titolo al suo libro che a me sembra un libro impareggiabile per la novità dello stile e dei pensieri.

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