Se la Capitale è corrotta la Nazione non sta tanto bene
Il malaffare è ovunque. Sono i boss a scegliere politici, funzionari, imprese. Un sistema perverso che da Roma si estende a tutto il Paese
12 giugno 2015
Ora verrebbe da chiedersi se abbiamo già visto tutto, o se invece l’inchiesta “Mafia Capitale” stia per riservarci ancora sorprese, altro malaffare, nuovi scandali. Potremmo rispondere che quanto emerso basta e avanza. E conferma l’impressione che non sia più una questione solo romana, che non la si possa risolvere chiudendosi nelle stanze del Campidoglio e spostare qualche mobile, allontanare qualche funzionario, annullare qualche delibera. Proprio no.
Sono andato a rileggermi in questi giorni, cioè esattamente sessant’anni dopo, l’inchiesta dell’“Espresso” sul sacco di Roma che ha segnato una stagione, rivelato l’altra faccia del boom e marcato il Dna del giornale che state leggendo. Il titolo, superbo, potrebbe essere utile oggi - “Capitale corrotta, Nazione infetta” - e infatti l’abbiamo riproposto tre anni fa quando un’altra valanga giudiziaria spazzò via la giunta Polverini alla Regione Lazio, le sue mazzette e le sue feste in maschera (da porco), ma non immaginavamo nemmeno la tempesta che avrebbe ferito il Comune di Roma portato allo sfascio da Gianni Alemanno.
Se quel titolo regge ancora, la realtà è invece diversa assai. Allora, una grande società immobiliare speculò e cementificò grazie al favore - variamente ricambiato - di sindaci e assessori; oggi il quadro è come rovesciato, è il sistema del malaffare che elegge certi politici, assume e corrompe molti impiegati e funzionari per agevolare il business e controllare ogni angolo dell’ordinaria gestione. Scriveva allora Manlio Cancogni, autore della storica inchiesta: «Certo non è facile in Campidoglio resistere a una potenza come l’Immobiliare. I funzionari comunali, i tecnici, i membri delle commissioni ricevono stipendi assai bassi. I tre più importanti azionisti della società sono: la Santa Sede, la Fiat, l’Italcementi». Concludeva Cancogni: «Il quadro è sufficiente a mostrare che le grandi potenze della capitale, e cioè l’Immobiliare, la Beni Stabili, la Pia Acqua Marcia, la Roma Gas e la Romana di Elettricità, sono collegate fra loro (e tutte hanno legami col Vaticano) con un unico scopo (che negli statuti viene chiamato fine sociale): il controllo economico di Roma».
Oggi Le "Grandi Potenze" non pesano più come prima, ma in compenso a condizionare politica e amministrazione sono Carminati & C. in combutta con i Buzzi e gli Odevaine, re di quella Terra di Mezzo dove tutto si mischia. Defilate le grandi imprese, incombono ricatto e intimidazione stile Mafia SpA. La città, la capitale d’Italia è al massimo degrado, sembra che niente più funzioni, che ogni forma di dissuasione latiti. Il malaffare, ed è questo che dovrebbe allarmare massimamente, si annida in tutti i gangli dell’amministrazione: tocca il consiglio comunale e le cooperative, infetta i servizi pubblici, vede coinvolti fondazioni umanitarie e politiche e consorzi di imprese.
Ascolti le parole del boss Carminati e ti accorgi che troppo spesso non è facile distinguere tra funzionari pubblici e manovalanza criminale, tra burocrazia e amministratori, tra cacicchi di periferia e boss locali. All’imbroglione che si lamenta di un impiegato che cercava di opporsi a pratiche illegali, Carminati replica: «O si caccia... o si compra, se si compra è meglio». Lasciando intendere non solo la pratica consolidata della compravendita, ma che il boss ha anche licenza di licenziare.
Di fronte alla pochezza di amministratori, alla connivenza dei burocrati, all’arroganza di consiglieri comunali che seguono solo l’odore dei soldi, verrebbe da chiedersi anche come sia stato possibile cadere così in basso. La prima responsabilità è certo della politica che troppe volte ha abdicato alla sua funzione prioritaria di selezione e di controllo lasciando in periferia il potere a ras “cattivi e pericolosi” (copyright Fabrizio Barca). In circostanze simili potrebbe supplire la macchina amministrativa, ma questa è ormai inefficiente, disillusa, disarmata, quando non direttamente coinvolta nel malaffare. È il caso emblematico di Roma, ma davvero non ci meraviglierebbe se “il sistema” avesse messo radici anche altrove. A questo punto ci vorrebbe una rottamazione. Vera e profonda. Stavolta della pubblica amministrazione.