Da tempo il partito della sinistra non sa capire ?quella realtà economica, sociale e culturale. ?E non esprime una classe dirigente all’altezza

Alcuni allarmi dovrebbero suonare dopo le elezioni, non tanto per Renzi puer aeternus, quanto per la qualità della nostra democrazia.

Che la frana determinata dalla ormai penosa decadenza di Berlusconi potesse finire tutta nel capace grembo del renzismo fu illusione apertamente coltivata dal Presidente e dai suoi fedeli. Le anime belle di lor signori sono servite: i voti dei cosiddetti moderati, di quelli, pochi per carità, che ancora votano, vanno, a fatica magari, alla Lega di Salvini ma con entusiasmo a quella erede della balena bianca democristiana degli Zaia.

Altra illusione, che i 5 Stelle fossero una grande margherita da sfogliare poco per volta, un deputato oggi, un senatore domani. Grillo tiene e si rafforza a livello regionale e amministrativo. L’altra faccia della corrente anti-europeista rappresentata da Lega e Fratelli d’Italia. Come sarà possibile combinarla col partito “erede” dei Prodi, dei Ciampi, dei Napolitano? Poiché è ormai evidente che il Pd da solo non ce la farà mai.

Ma la campagna di guerra renziana per l’Italicum a questo puntava no? Problema analogo per Salvini. Coalizioni sempre più difficili anche da pensare, alleanze fragilissime. Risultato: drammatica crisi di rappresentanza, difficoltà dell’azione di governo, costretta a procedere esclusivamente per decreti, impossibilità di impostare qualsiasi strategia di medio periodo.

Le chiacchiere di vincitori e vinti riusciranno forse a coprire ancora una volta ogni tentativo di ragionare di politica, ma non potranno nascondere un dato di portata storica: il risultato del Veneto.

Qui il centrosinistra precipita a livelli inferiori a quelli del Pci negli anni dei trionfi democristiani. Ma allora il Pci rappresentava settori sociali ben determinati, aveva in molte aree industriali e operaie un radicamento solido. Oggi raccoglie un 16% di pura opinione.

Partito allo stato gassoso per una società liquida. È questa la linea del Capo? Anche i partiti quando funzionano, e funzionano soltanto quando non sono un esercito di fedeli e cooptati, possono creare intralci al decisore, come i sindacati, no? Ma se è così la conseguenza fatale è quella che queste elezioni dimostrano urbi et orbi: dietro il Capo, nulla. Se manca Lui direttamente sulla scena, se non si tratta di un referendum pro o contro la Sua persona, il risultato torna ad essere quello che il Pd aveva coi Bersani & Co. Anzi, molto, molto peggio.

E non mi si tirino in ballo, per pietà, Puglia e Campania. I De Luca e gli Emiliano sono Signori locali, con “patrimoni” tutti loro e una storia che c’entra con Renzi quanto la mia con la Mongolia esterna. Un risultato sconvolgente come quello del Veneto dimostra che il nuovo Pd-Renzi non è riuscito minimamente a superare il limite di fondo che i vari Ulivo, Ds, Margherita e Pd dei Veltroni, Fassino e Bersani avevano denunciato in tutto il Nord e drammaticamente nel Lombardo-Veneto: l’incapacità di comprenderne la struttura economica, di leggerne le dinamiche sociali e culturali, di darsi una struttura organizzativa capace di promuovere la formazione di una classe politica che di quelle realtà fosse davvero espressione.

C'è stato chi, alla nascita del Pd, aveva invano lottato perché il partito assumesse quest’anima anti-centralistica, anti-plebiscitaria, autenticamente federale. Ma regnava Berlusconi e urgeva soltanto trovare il suo Avversario, il quale,una volta vittorioso, avrebbe certamente “gemmato” per villa e castella. E così, in una Regione chiave per l’economia del Paese, trionfa chi non ne ha risolto un solo problema, ma almeno dentro vi è nato e cresciuto. Né al popolo importa che abbia governato per anni coi Galan, che sia stato collega dei Chisso e via elogiando. Non si può vivere senza dimenticare, diceva un saggio. Ma è difficile che Renzi e il suo Pd abbiano vita lunga se dimenticano questa lezione.