Facciamo molta fatica a capire il “politicamente corretto” americano. Ma gli Stati Uniti sono una società fondata sulla convivenza delle diversità

DOVE FINISCE LA LIBERTÀ di espressione e iniziano le minacce? Qual è il confine tra ciò che l’individuo può permettersi di dire e ciò che dovrebbe tacere?

Dopo la strage alla redazione di “Charlie Hebdo” tutti abbiamo preso posizione in favore della libertà di espressione e moltissimi quotidiani, riviste e siti internet hanno pubblicato le vignette di Cabu, di Tignous e di Wolinski per dimostrare che non esiste censura possibile, che il sangue non ferma la satira.

In quei mesi mi trovavo negli Stati Uniti dove accanto al grido di dolore «Je suis Charlie» c’è stato anche chi non ha ripubblicato le vignette di Cabu, Tignous e Wolinski in nome di un politicamente corretto che nel nuovo continente segue regole con le quali io spesso non mi trovo d’accordo, ma che vale la pena conoscere, perché le nostre prese di posizione siano sempre frutto di ragionamento e mai di pigrizia, di mera voglia di seguire l’onda. Regole che sono il frutto di una convivenza che deve essere pacifica tra culture diversissime in aree urbane dove spesso le differenze diventano l’unico segno distintivo, ciò che ricorda a ciascuna comunità le proprie origini. Dove la differenza viene vissuta come un plusvalore, come unico legame rimasto con il proprio sangue.

Questo l’Europa lo sta sperimentando ora. E lo sta sperimentando nella prima lunga fase pacifica della propria storia. Eppure la memoria di ciò che sono state le due grandi guerre del Novecento è nella carne, anche nella nostra, e quello che resta è ciò che il Nuovo Mondo non può avere: la necessità di voler scrivere, dire, urlare che tutti sono liberi di essere quel che sono nel rispetto delle origini di ciascuno, e allo stesso tempo la libertà di poter essere leggeri, di poter rendere tutto oggetto di satira.

Questa libertà è quanto di più prezioso possa esserci quando si sono sperimentati governi che hanno reso la satira illegale e hanno eliminato, fisicamente eliminato, chiunque provasse a mettere in discussione il potere con il sorriso. Ma questa libertà ha un solo limite, fondamentale, irrinunciabile, pena la dannazione e conseguenza il ritorno a un’epoca nera: la discriminazione. Le ferite dell’esperienze nazista e fascista ci hanno lasciato questa unica grande paura, quella di non voler mai più sentire o leggere offese a persone che sono di un’altra nazionalità, che hanno una diversa origine o che professano una diversa religione. E soprattutto, offese che poi come conseguenza prevedono l’allontanamento, la reclusione o addirittura lo sterminio. Si può prendere in giro chiunque, perché l’ironia serve a smussare gli spigoli, a notare eccessi, che nella convivenza vanno necessariamente ridimensionati, ma la linea di demarcazione la fanno le intenzioni.

È NOTIZIA DI QUESTI GIORNI il rinvio a giudizio di 25 persone con l’accusa di odio razziale; erano tutti animatori del sito internet neonazista Stormfront che negli scorsi anni più volte ha preso di mira extracomunitari e chi fosse a favore di politiche di accoglienza, la comunità ebraica e chi avesse origini ebraiche. Con me poi hanno trovato la summa di ciò che ritengono massimamente detestabile e le accuse quotidiane erano le solite: ebreo (usato come insulto) e sionista (perché parlo di pace, di due popoli e due stati). Mi odiano perché invoco lo Ius soli per i cittadini stranieri che nascono, studiano, vivono, lavorano e amano nel nostro paese.

IN TELEVISIONE raccontai la storia, bellissima e commovente, di Yvan Sagnet un giovane camerunense innamorato dell’Italia che studiava ingegneria al Politecnico di Torino e d’estate partecipava alla raccolta dei pomodori in Puglia. Yvan è un ragazzo istruito e grazie a lui molti extracomunitari sono riusciti a ribellarsi e denunciare le condizioni di vita nei campi, una moderna, ingiustificabile e vergognosa schiavitù. Dopo quell’intervento in tv sul sito Stormfront apparve questo commento «L’ebreo Saviano vuole candidare un nero come sindaco di Castelvolturno». Non c’è ironia in questa frase, non è satira, non prende in giro me, né Yvan. Ecco perché mi sono costituito parte civile in questo processo, perché sono convinto che ogni individuo sia libero di esprimere il proprio pensiero, ma esiste una linea, che si ferma davanti a cicatrici che si stanno rimarginando ora. Il nostro compito è di vegliare su quelle ferite, medicarle e fare in modo che mai più nessuno possa permettersi di infettarle dicendosi superiore. Non esistono razze superiori, solo individui stupidi, ignoranti e pericolosi.

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