I fantasmi sociali nascono sempre nei momenti di crisi e l’odio verso lo straniero (oggi africano, ieri cinese, l’altro ieri polacco o ucraino) è il risultato di un cocktail letale di cattiva politica, informazione irresponsabile e crisi economica. Si è tutti coinvolti, non c’è nessuno che possa dirsi, in questa fase, esente da responsabilità, quindi la prima cosa che conviene fare è chiamare le cose con il loro nome.
Nei giorni successivi i trenta colpi esplosi da Luca Traini contro alcuni immigrati a Macerata, ho sentito e letto di tutto, finanche che, statistiche a parte, è fondamentale dare ascolto alle sensazioni degli italiani perché sono quelle, più che le statistiche, a dirci cosa accade. Una cosa inaccettabile, uno stravolgimento totale di ogni analisi che valga la pena fare e ascoltare.
Le “polemiche sull’immigrazione”, come alcuni giornalisti definiscono, in maniera asettica, quasi blanda, il razzismo dilagante in politica e amplificato dai media, hanno sortito questo effetto: negli ultimi mesi la prima emergenza percepita dagli italiani non sono più la crisi economica o gli attentati terroristici ma l’immigrazione.
Anzi, gli immigrati sono percepiti come causa prima del prolungarsi della crisi economica e magari anche del rischio attentati, salvo poi constatare che, in Italia, l’unico attentato che poteva essere una vera e propria strage l’ha compiuto un italiano ai danni di stranieri. Ma questo l’avrete già letto, fa colore in articoli in cui si finisce per dire: «Se gli italiani hanno paura una ragione deve pur esserci». Sembra quasi tempo perso fornire dati, ribadire che l’immigrazione non è un’emergenza ma un fenomeno che, lavorandoci con responsabilità e lungimiranza, siamo in grado di gestire, che esistono buone pratiche e ottimi esempi; inutile commentare i dati sui crimini in diminuzione perché, dirà qualcuno, e ci metterà poco a risultare più popolare di me, se gli italiani si sentono a rischio, nonostante i crimini siano in calo, un motivo ci deve essere. Qualunque sensazione uno abbia, oggi, è più importante della realtà.
E allora, senza troppi giri di parole, invece di continuare a dire «se gli italiani credono che i migranti siano un problema, un motivo ci deve essere» li vogliamo analizzare questi motivi o abbiamo paura che, scavando, scopriamo poi di essere tutti causa del problema?
La politica. Nel 64 a.C. Marco Tullio Cicerone era candidato alla carica di console della Repubblica romana: suo fratello Quinto, per aiutarlo a vincere le elezioni, scrisse il “Commentariolum petitionis”, una specie di manuale per la campagna elettorale. Più che di contenuti politici si tratta di strategie di comunicazione. Come quella di rispondere sempre sì alle richieste della gente, anche se si sapeva già in partenza di non riuscire a soddisfarle. Perché ho citato Cicerone? Perché la politica ha sempre avuto l’obiettivo di cercare voti e creare consenso. Nulla di sbagliato o anomalo, l’errore arriva quando si lavora per orientare l’opinione pubblica senza pensare alle conseguenze. L’errore arriva quando, per reggere la competizione elettorale, si inizia a volere i voti di tutti. Da qui le dichiarazioni di Renzi e Di Maio che sui fatti di Macerata hanno esortato al silenzio. Perché tacere? Per non perdere i voti dei fascisti: ecco il loro timore, specchio di una politica ormai vuota.
Che Luca Traini sia stato candidato nella Lega mica ci dice che la Lega candida folli o delinquenti? Assolutamente no, ci dice una cosa che vale per tutti i partiti, e cioè che non hanno più sostanza, che non riescono più a selezionare un bel niente perché hanno perso ogni legame con il territorio. Questo è evidente dalle schermaglie dei leader, ormai per lo più accuse sui reciproci “impresentabili” che spesso costituiscono una sgradita sorpresa anche per chi se li è trovati nelle proprie liste. Non c’è progetto politico ergo vanno bene i voti di tutti; da qui affermazioni come: «non siamo né di destra né di sinistra», «sinistra e destra sono categorie superate», «il fascismo non esiste più».
I media. Non c’è comunicazione che non sia orientata, dire «comunque la si pensi sull’immigrazione» è una paraculata ormai inaccettabile. Sull’immigrazione possiamo pensarla in un solo modo: va gestita bene, va cambiata la legge e serve responsabilità da parte di tutti. Le sensazioni vanno lasciate a casa: sulla carta o sul piccolo schermo ogni parola pesa, e moltissimo.