Buona scuola? ?La trovate a Celio Azzurro

Un'esperienza unica. Nata grazie alla volontà ?di un gruppo di volenterosi tra mille difficoltà. È la prova che non bisogna attendere direttive dall'alto

La buona scuola non è un opuscolo. La buona scuola non è un programma politico. La buona scuola non è un disegno di legge. La buona scuola è una cosa che esiste per la buona volontà di chi ha raggiunto (o magari l’ha sempre avuta) la consapevolezza che una società che funzioni non possa prescindere dalla scuola e dal valorizzare le esperienze che in età scolare si fanno.

A Napoli qualche giorno fa due studenti di terza media (uno di quattordici e l’altro di quindici anni) hanno litigato in classe. Il litigio è continuato davanti alla scuola dove c’erano maestre, professori, genitori e altri alunni e studenti (si tratta di un istituto comprensivo che ospita scuola materna, elementare e media) tutti spaventati. Il ferimento è avvenuto in strada, poco distante dalla scuola, ma con probabilità lo studente armato aveva portato il coltello a scuola. La parola bullismo l’ho letta infinite volte riferita a questa vicenda. Bullo era il ragazzo che ha estratto il coltello e ferito, ma a quanto pare è stato a lungo tempo anche lui vittima di bullismo, perché scuro di pelle, perché di padre non italiano.

Su questa vicenda ci sono indagini in corso e trattandosi di ragazzi giovanissimi ogni parola sarebbe di troppo. Certo però, nessun disegno di legge, pure se si chiamasse “La scuola meravigliosa” potrebbe cambiare o migliorare certe realtà che scontano tutto ciò che c’è da scontare.

E allora capisci che quando qualcosa funziona è perché tutti ci mettono del proprio e nessuno aspetta che piovano direttive a indicare la giusta via.

Celio Azzurro è una scuola molto particolare che nasce in questo modo: nel 1990 un gruppo di giovani impegnati in attività sociali occupa uno spazio per poter dar luogo a laboratori pomeridiani rivolti ai bambini. All’occupazione segue immediatamente lo sgombero, come da copione. È spesso sgombero anche quando le attività svolte sono necessarie e gli spazi vengono sottratti al nulla e alla devastazione. Il Comune di Roma affida la struttura alla Caritas che però inizia a parlare con i giovani occupanti appena sfrattati e insieme a loro decide di metter su un luogo di accoglienza molto particolare: un servizio per i figli degli immigrati.

Il centro fu immediatamente distrutto da un incendio doloso, ma ricostruito grazie all’intervento e all’appoggio della Caritas che continua a finanziarlo insieme all’Ufficio speciale immigrazione del Comune di Roma. Oggi Celio Azzurro è una scuola per l’infanzia rivolta a figli di immigrati, ai figli di coppie miste e a figli di italiani la cui particolarità è questa: ciascuno dà in ragione di ciò che ha affinché il servizio sia gratuito o semi gratuito per chi lo frequenta.

E Celio Azzurro non è un ghetto, non è un luogo dove si trattano bene i figli degli immigrati, dei rifugiati. No. Celio Azzurro è un luogo di integrazione in cui all’offerta formativa contribuisce chiunque abbia qualcosa da dare. Celio Azzurro è un luogo lontano da ogni ortodossia. Mi ha molto colpito una frase letta in un articolo che lo “Straniero” gli dedicò qualche anno fa: «A Celio Azzurro sembra che nessuno strappi le ortiche e anche qualche rovo è riuscito a sopravvivere. Ecco un posto per l’infanzia dove anche le erbe cattive hanno il loro diritto di presenza e mescolanza». E ancora: «A Celio Azzurro i maestri cucinano, puliscono e si occupano dell’amministrazione, Celio Azzurro è una casa, non un parcheggio dove si aspetta di poter ritornare alla vita normale. I bambini collaborano, sono coinvolti».

Eccola la buona scuola: sembra facile, ma non lo è. Massimo Guidotti, direttore di Celio Azzurro mi fa arrivare un messaggio perché il centro ha difficoltà economiche e di riconoscimento. Guidotti mi scrive: «Celio Azzurro è un posto dove i bambini e i grandi si dividono le merendine». Questa frase è bellissima e spero che il Ministero dell’Istruzione e il Governo capiscano che questa è la buona scuola, quella vera. E che da qui bisogna partire.

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