Circola una voglia nuovo, anzi d’antico: voglia di proporzionale. S’è accesa all’improvviso, dopo il referendum del 4 dicembre; e da allora in poi sta contagiando tutti gli inquilini del Palazzo. Berlusconi ne tesse le lodi a giorni alterni; idem Alfano; i 5 Stelle, con il loro Democratellum, hanno già infiocchettato un modello di proporzionale; gli altri dichiarano di preferire il Mattarellum, ma chissà poi se è vero. In ogni caso, la futura legge elettorale sbucherà come un fantasma dal passato; il nostro prossimo passo sarà perciò il passo del gambero. Perché? Da cosa dipende questa nostalgia per i bei tempi andati? E può mai esserci progresso in un regresso?
Quanto alle cause, possiamo elencarne almeno tre. Cominciando innanzitutto a domandarci «cui prodest», a chi conviene. Semplice: se il maggioritario rafforza il vincitore, il proporzionale conviene viceversa ai probabili perdenti, perché trasforma la sconfitta in una mezza vittoria. Basta allearsi con il partito maggiore, facendo pesare i propri voti per la conquista del governo. Insomma: con l’Italicum vinci da solo; con il proporzionale si vince in due, o meglio ancora in tre. Dunque un sistema perfetto per bloccare i 5 Stelle, che tutti i sondaggi danno in cima alle simpatie degli italiani, e che però s’alleano unicamente con se stessi. Il bello è che in questo caso sono d’accordo pure loro, proporzionalisti duri e puri: misteri della politica italiana.
Ma per capirci qualcosa non serve un detective, serve piuttosto uno psichiatra. La seconda spiegazione di quanto sta accadendo risiede infatti in un disturbo psichico, in una forma di nevrosi che colpisce noi italiani. Perché siamo volubili, capricciosi, instabili. E la legge elettorale ne è la prova più evidente. Sta di fatto che i tedeschi hanno la stessa legge elettorale dal 1956, i francesi dal 1958. Quanto agli inglesi, il loro sistema uninominale a un turno (first past the post) risale al XVII secolo, e non ha mai subito cambiamenti sostanziali. Nel corso del tempo sono intervenute molteplici riforme per favorire l’avanzamento del suffragio (a partire dal Great Reform Act del 1832), per garantirne il libero esercizio (attraverso la segretezza del voto, tutelata dal Ballot Act del 1872), per contrastare i brogli elettorali (con i Corrupt and Illegal Practices Acts dell’epoca vittoriana), senza tuttavia mai porre in discussione la scelta del maggioritario. Anche il referendum del 2011 - che intendeva rimpiazzarlo con un sistema più rappresentativo - si è concluso con un fiasco: 69 per cento di No.
E l’italia? Dagli anni Novanta, di referendum elettorali ne abbiamo celebrato sei (nel 1991, nel 1993, nel 1995, nel 1999, nel 2000, nel 2009). Talvolta respingendoli, talvolta cavalcandoli per un cambio di regime. Accadde nel 1993, quando il referendum sulla legge elettorale del Senato sancì il passaggio alla seconda Repubblica: l’avvento del maggioritario, dopo 45 anni di proporzionale.
Ma in questo campo, per noi italiani, nessuna novità è mai ?del tutto nuova. Difatti la storia dell’Italia unita, durante la metà dell’Ottocento, cominciò con un maggioritario uninominale a doppio turno. Però nel 1882 proseguì con un meccanismo plurinominale ?di lista, dunque un proporzionale. Sostituito nel 1891 attraverso il ripristino del maggioritario, poi nel 1919 attraverso il ripristino del proporzionale. E via via, fino alla legge Acerbo (supermaggioritaria) imposta nel 1923 da Mussolini, o fino al superproporzionale che nel 1946 elesse l’Assemblea costituente. Da allora abbiamo cambiato legge elettorale per altre cinque volte (nel 1948, nel 1953, nel 1993, nel 2005, nel 2016). E adesso stiamo per cambiarla ancora, gettando nel cestino dei rifiuti un marchingegno (l’Italicum) senza averlo mai sperimentato: un record planetario.
Sì, avremmo proprio bisogno d’un calmante. Una pilloletta ?per stabilizzare i nostri umori, per raffreddare le nostre effimere passioni. Sbalzi e rimbalzi che si ripetono, d’altronde, anche al di fuori della materia elettorale. Così, nel 1992 la Lega raccolse 55 deputati (ne aveva uno soltanto nella legislatura precedente), sicché l’Italia in quel decennio diventò federalista, fino a timbrare la riforma del Titolo V, nel 2001. Invece nel decennio successivo le Regioni ?ci sono andate a stufo, e allora siamo tornati centralisti, varando ?nel 2016 la riforma Boschi, respinta poi dagli elettori. Idem sulle faccende giudiziarie. Durante Tangentopoli, tutti giustizialisti; e infatti nel 1992 venne emendato l’articolo 79 della Costituzione, per rendere più impervia l’amnistia; mentre nel 1993 toccò all’articolo 68, correggendo al ribasso le immunità parlamentari. Dopo di che, tutti garantisti; da qui la revisione del 1999, per introdurre ?il giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione.
Insomma, o di qua o di qua o di là: noi italiani detestiamo ?le mezze misure. Sarà per questo che il pendolo ora oscilla verso l’estremo opposto, dopo vent’anni di maggioritario. O forse sarà che siamo stanchi della seconda Repubblica, del suo bipolarismo muscolare. È questa l’ultima ragione che ci sospinge verso ?il proporzionale, e magari è la ragione decisiva. Sta di fatto che usciamo da una stagione di sberle e di sgambetti. Conflitti fra ?i poteri dello Stato, che per la prima volta tirano in ballo pure ?il Quirinale (2005: Ciampi contro il governo Berlusconi sulla titolarità del potere di grazia; 2012: Napolitano contro la procura di Palermo). Conflitti fra Stato e Regioni (95 sentenze nel 2004, 99 nel 2005, 98 nel 2006, e via litigando). Le mani della politica sull’amministrazione, attraverso lo spoil system introdotto nel 1998 dalla legge Bassanini e rafforzato nel 2002 dalla legge Frattini. Nessuna pietà per l’opposizione: nella prima Repubblica le spettava la presidenza della Camera, la seconda è cominciata piazzando la Pivetti dove c’era la Iotti. Infine riforme costituzionali approvate contro mezzo Parlamento (nel 2001, nel 2005, ?nel 2016), trasformando anche la Carta in un fattore divisivo.
Morale della favola: c’è voglia di proporzionale perché ?c’è voglia di rilassarsi un po’, di mettersi a riposo. Approfittiamone, tanto non è un riposo eterno. In Italia la legge elettorale può ?anche essere dura, però non dura.