Mai come oggi c’è una richiesta diffusa di comando. Quindi la sfida è indirizzarla per il bene comune
Solo chi ignora i caratteri profondi delle correnti spirituali europee può essere rimasto sorpreso dalla intensità politica del discorso di papa Francesco in occasione del conferimento del premio Carlo Magno. L’attenzione per le vicende politiche è sempre stata al centro della grande tradizione cattolica. Se, secondo Weber, l’etica calvinista è all’origine dell’economia capitalista, il cattolicesimo romano è inseparabile dalla storia del politico. Non solo sul piano delle sue istituzioni ecclesiali, ma all’interno del suo nucleo dogmatico. Cristo, che pure ?è il mediatore tra uomo e Dio, è principio di decisione. Egli separa il bene dal male, chiedendo agli uomini di scegliere senza tentennamenti per lui. Per Carl Schmitt, nelle dinamiche di spoliticizzazione ?che segnano l’intera modernità, ?il cattolicesimo è il solo a rappresentare il politico. E del resto anche oggi, chi altri, oltre il papa, è in grado di pronunciare ?le grandi parole della politica davanti ?al mondo - uguaglianza e differenza, responsabilità e giustizia, diritti e potere.
Sì, anche potere. Come ha scritto Romano Guardini, uno dei maggiori teologi cattolici contemporanei, l’uomo non ha solo il diritto, ma anche il dovere del potere, perché è Dio che glielo ha conferito. Mai come oggi il mondo chiede decisione, direzione, comando. Mai come oggi bisogna decidere da che parte stare, esercitare il potere.
Ma - ecco il punto su cui insiste papa Francesco - per farlo, per non smarrire il senso della propria azione, bisogna governare tale esercizio. Padroneggiare il proprio potere. Indirizzarlo al bene di tutti gli uomini, senza discriminarli in ragione della loro condizione e provenienza.
Se, oltre all’ovvio richiamo al “sogno” ?di Martin Luther King, si torna alle parole pronunciate da Guardini sul compito dell’Europa quando il 28 aprile 1962 ricevette a Bruxelles il Praemium Erasmianum, si ritrova lo stesso spirito del discorso del Pontefice. Compito dell’Europa non è lo sviluppo, ?pur necessario, della tecnica ?e dell’economia. E neanche quello ?delle scienze e delle arti, comune ?a tutti i continenti. A meno di venti anni dalla sconfitta dei totalitarismi, quando già i nazionalismi tornano a farsi sentire, è il governo della potenza: «Perciò», egli diceva, «io credo che il compito affidato all’Europa, compito meno sensazionale di tutti, ma che nel profondo conduce all’essenziale, sia la critica della potenza». Critica non negativa, ?egli aggiungeva. E neanche reazionaria. Ma capacità di mettere quella potenza ?a disposizione di ogni uomo che ne sia privo. Dovere del potere nei confronti dell’altro uomo. «L’altro uomo, che non ?è una cosa, ma un io, una persona».