Tra le grandi città che vanno al voto è quella più trascurata dai media. Ma le strategie del sindaco De Magistris possono pesare su scala nazionale

Ma di Napoli si parla poco. Le telecamere seguono Virginia Raggi e Alfio Marchini in ogni strada di Roma, i siti aggiornano i sondaggi, Giorgia Meloni spunta da ogni tv. E vabbè, è la Capitale. I giornali ci rimandano lo scontro all’ultimo voto tra Beppe Sala e Stefano Parisi, i poteri forti si schierano, la città si divide. E vabbè, è la capitale morale. Occhi puntati anche su Torino, e si capisce, perché se Piero Fassino dovesse incontrare difficoltà… A Napoli, invece, non si riserva la stessa attenzione. Come se il 5 giugno non si votasse anche lì o meglio, come se si giocasse una partita che molti nel Pd considerano persa in partenza.

Oddio, è perfino meglio che di Napoli non si parli se i fatti sono solo quelli che ci deliziano da giorni: la Procura indaga sul calcio scommesse e scoperchia un mondo di droga, camorra e partite truccate; il presidente del Pd campano, Stefano Graziano, è accusato di rapporti poco limpidi con il clan dei Casalesi; in lista con Denis Verdini, corso in città a sostenere Valeria Valente, Pd, spiccano figlio e nipote di un condannato per traffico di droga; il Pd non si è fatto mancare il contributo di Tonino Borriello, noto alle cronache per aver distribuito euri dinanzi ai seggi delle primarie; ma a sostegno di Luigi De Magistris corre anche una certa Eleonora De Majo che impazza in rete con lo slogan “Il sionismo è come il nazismo”. Una tale concentrazione di brutture che Giorgio Napolitano ha sentito l’esigenza di ricordare, parafrasando Benedetto Croce, che Napoli non è solo “un paradiso popolato da diavoli”, ma una città abitata «prevalentemente da gente onesta, che vuole lavorare».

A complicare le cose ci sono poi i rapporti sempre più tesi tra Renzi e De Magistris, compromessi dallo scontro sul destino dell’area industriale di Bagnoli che ingabbia Napoli dall’inizio del secolo scorso e che si è trasformata in un disastro ambientale. Negli ultimi venticinque anni, da quando la grande acciaieria Italsider è stata chiusa e smontata, si sono accavallati piani di riconversione immaginifici e irrealizzabili, inchieste della magistratura e appetiti della camorra mentre il buco nero di Bagnoli ha inghiottito almeno 300 milioni di euro per un risanamento che non c’è ancora stato. Ora che Renzi ha commissariato l’area, ingaggiato Raffaele Cantone e di fatto escluso De Magistris dalla cabina di regìa, il duello continua a distanza: il sindaco accusa il premier di non aver fatto niente per anni e di voler ora regalare l’area al business privato, il premier rilancia al sindaco l’accusa di immobilismo («È finito il tempo delle chiacchiere»), condanna il suo rifiuto di lavorare con il governo e trasferisce ogni decisione a Roma. Amen.

Così si spiega forse meglio l’ineffabile comizio, che ancora spopola sul web, nel quale De Magistris ne ha dette di ogni colore, compreso il mirabile «Renzi, ti devi mettere paura, ti devi cacare sotto». Certo, poi ha spiegato che un comizio impone linguaggi più diretti. Ma anche sorvolando su altre perle - il borbonico «Napoli capitale, Granducato di Toscana dietro!»; il rivoluzionario «Napoli ribelle! Potere al popolo!»; fino a «Dimostriamo che è il popolo a scrivere la storia e non l’ordine costituito» che detto da un magistrato, se pur ex, non è male - sarebbe sbagliato ridurre le sue parole al folklore. C’è infatti qualcosa che affonda in un lontano passato di jacquerie, ma che forse prefigurano qualcosa d’altro per il futuro.

Dal passato il sindaco ha preso l’eterna rivalsa contro il potere centrale, atteggiamento che rimanda a un mai svanito sogno separatista («Napoli capitale»), e lo spirito ribellista - più volte evocato Emiliano Zapata - che cova da sempre nell’animo dei napoletani. Nell’attualità, invece, pesca i continui riferimenti a Podemos, il movimento di sinistra nato lontano da Madrid e diffusosi in tutta la Spagna. Certo, può trattarsi solo di un artificio retorico - tante volte visto - che consiste nell’attribuire a Roma le colpe di tutto quello che non è stato fatto a Napoli. Ma alcuni intravedono perfino un piano strategico e sospettano, come lo storico Paolo Macry, che De Magistris stia facendo le prove generali oggi per rappresentare domani quella vasta opposizione che si appresta a votare no al referendum di ottobre. Mah, lo sapremo presto. C’è da augurarsi solo che tra liti con il governo e velleità nazionali, non si dimentichino i guai di una città oppressa dal 22,1 per cento di disoccupati e dove nel 2015 hanno chiuso tremila imprese. Se poi si vendono pure Higuain…

Twitter @bmanfellotto