Ciro Colonna, 19 anni, ucciso nel quartiere di Ponticelli a Napoli. Vittima innocente, caduto sotto i colpi destinati a Raffaele Cepparulo, pregiudicato di 25 anni, considerato il boss dei “barbudos”.
Potrei riempire lo spazio di questa rubrica solo scrivendo nomi, cognomi, età e provenienza delle persone uccise a Napoli perché intercettate da proiettili che non erano destinati a loro.
Se lo facessi cosa cambierebbe? Sono anni che continuo a ripetere (e non da solo) che a Napoli si combatte una guerra in cui la stragrande maggioranza delle persone è inerme, esposta, carne da macello. Mi sono sentito dare dell’esagerato e mentre si attaccava me si toglieva attenzione a un territorio che di disattenzione muore. Ciro Colonna si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato? No, non possiamo continuare a dire simili atrocità senza sentirci corresponsabili di ciò che è accaduto. Ciro Colonna abitava al Lotto Zero a Ponticelli, un quartiere reso ghetto dalla ricostruzione postbellica, quindi si trovava a casa sua quando è morto. Era esattamente dove ci si aspettava che sarebbe stato, quindi era al posto giusto. Assodato questo, di sbagliato deve esserci evidentemente qualcos’altro. Di certo l’attitudine a pensare che le periferie di Napoli siano ingestibili e quindi l’assenza di qualsiasi iniziativa per renderle attivamente parti della città. Di sbagliato deve esserci la mancanza totale di consapevolezza da parte di chi parla di politica, fa politica, partecipa alla vita sociale della città, che spesso parla come se stesse in fondo commentando una débâcle sportiva.
Nessuno chiede miracoli a chi amministra Napoli, ma sentirsi dire che il centro storico è migliorato è una enormità che non so come si possa far digerire a un genitore che ha perso un figlio, a ragazzi e ragazze che hanno perso un amico: le morti inspiegabili, in periferia, di vittime sacrificate all’altare del decoro urbano del centro storico. Non è ben chiaro un passaggio: a Napoli si muore non solo perché c’è qualcuno che spara, ma soprattutto perché ce ne sono molti che non fanno nulla per innescare un cambiamento radicale.
Le persone vicine alle vittime, quando intervistate, dicono questo: «Ci uccidono due volte, prima con le armi, poi con le bugie». Perché le prime indiscrezioni che girano, a corpi ancora caldi, è che non si tratta mai di vittime innocenti, ma sempre di ragazzi con precedenti penali. Come se avere precedenti penali equivalga in qualche modo a meritare la morte, a essere naturalmente predisposti a intercettare colpi letali.
E invece poi si scopre che si tratta di bravi ragazzi, che non hanno nulla, se non quel circoletto da frequentare, in quartieri che sono il deserto. Che la loro vicinanza fisica a boss presunti o reali è un dato di fatto, è cosa naturale che non si cerca per amore del rischio, ma che si subisce senza potersi ribellare.
Napoli non ne può più della camorra e non perché si senta diffamata o ghettizzata, no. Queste sono solo dissertazioni per chi deve occupare tempo e spazio. Napoli non ne può più della camorra perché è stremata, perché ha paura. Ma anche qui vale la pena ascoltare chi vive dove si muore, quando dice che la disoccupazione giovanile non dà scelta: delinquere non è un’alternativa, ma a volte l’unica opzione. L’unica.
E allora, da dove cominciare? Più telecamere? Più controllo sul territorio? Più forze dell’ordine in strada? Siamo certi che questo fungerà da deterrente? Siamo certi che chi è cresciuto non temendo galera e morte, ma anzi mettendole in conto, sia fermato dalle “armi” che pensiamo di avere a disposizione? E perché non riusciamo a vedere quale sia la più efficace di tutte?
Il Presidente del Consiglio dice che la legalizzazione della marijuana non è all’ordine del giorno, io spero - e il progetto di legge dell’intergruppo parlamentare “cannabis legale”, all’esame delle commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera dovrà compiere un suo iter autonomo in Parlamento - che cambi idea e che la ponga come una priorità. A Napoli si spara e si muore unicamente per il predominio sulle piazze di spaccio, immaginate che colpo sarebbe per le organizzazioni perdere la fonte primaria di ingresso di capitali? E indebolito il principale degli ammortizzatori sociali, bisognerà davvero capire come far ripartire l’economia. Perché diciamolo chiaramente: in tempo di crisi, quando la ripresa economica stenta a partire, le mafie sono le migliori alleate, le più preziose.