Nella storia che sto per raccontarvi c’è tutto: rise and fall di una famiglia che aveva iniziato con il contrabbando di sigarette e ha finito con milioni di euro (per la precisione 8) stipati nelle intercapedini dei muri. C’è un capostipite dal soprannome risibile, Mario Potenza detto ’o chiacchierone, che però descrive perfettamente il personaggio e incredibilmente anche le sue attività: dal contrabbando di sigarette all’usura; da qualche cassa di sigarette fatta passare per gli anfratti più umidi e scuri del sottosuolo napoletano, alla “grande mamma”, la nave ancorata a largo, in acque extraterritoriali, al riparo dalla guardia di finanza, che inondava letteralmente la terraferma di bionde. E dalle sigarette si passa ai prestiti a usura per cui facevano da garante i capitoni di Miano, ovvero il clan Lo Russo.
E poi il viaggio - e sono soprattutto i soldi a muoversi - lontano dal quartiere di origine, uno di quelli della Napoli bene, ma anche uno di quelli che a Napoli vedono ricchi e poveri campare gomito a gomito. A Santa Lucia ci vive chi può permettersi case milionarie o le famiglie più umili che abitano i palazzi sgarrupati, dalle facciate scrostate. Santa Lucia mostra l’anima di Napoli, la Napoli del troppo ricco o del troppo povero. Del colore locale, e il colore locale spesso è costituito da devastazione e delinquenza. Qui, a due passi dal lungomare liberato dalle automobili ma che sembrerebbe occupato dai capitali della camorra (non sono mie illazioni, ma quanto ipotizzato dall’esito di nuove indagini patrimoniali, coordinate dal capo del centro Dia Giuseppe Linares) a due passi da Piazza del Plebiscito, dal Teatro San Carlo, a due passi da dove solo pochi mesi fa è stato decimato dagli arresti il clan Elia - quello che faceva confezionare dosi di coca a bambini per via delle mani piccole e agili, quello che lasciava un tredicenne di notte solo in casa a spacciare - insiste il potere criminale di una famiglia nota a tutti, una famiglia che è arrivata finanche a possedere azioni di un ristorante accorsato nel centro di Milano e, secondo l’accusa, ha messo al sicuro ingenti somme di denaro presso l’istituto di credito Bsi Bank di Lugano. Il ristorante milanese in questione è il Donna Sophia, in corso di Porta ticinese, pieno centro, nel punto esatto in cui la folla dello shopping diurno lascia spazio alla movida serale. A due passi dalle colonne di San Lorenzo che il sabato sera i giovanissimi trasformano in una sorta di affollato locale a cielo aperto. Che tu sia un turista in visita al Duomo, un milanese reduce da un pomeriggio di shopping o uno studente fuori sede pronto per la serata, ti sarà facilmente capitato di passare davanti al Donna Sophia e magari sarai anche entrato a mangiare una pizza napoletana “a prezzi contenuti”, come avvertono le recensioni online. E così, un ristorante milanese rientra nei beni riconducibili ai fratelli Bruno, Salvatore e Assunta Potenza. Figli di Mario Potenza, morto d’infarto nel 2012 mentre era agli arresti domiciliari anche per quella storia degli otto milioni di euro nascosti fra le intercapedini delle mura di casa. Lui che aveva una pensione sociale Inps e un’altra da invalidità civile non si capisce come avrebbe mai potuto guadagnare lecitamente tutti quei soldi. Il nuovo sequestro è ancora più cospicuo e ammonta a 20 milioni di euro tra locali, autoveicoli, depositi bancari e polizze.
La storia della famiglia Potenza fa pensare da una parte che la mobilità sociale, quella vera, quella che consente emancipazione, pare sia possibile ormai solo attraverso il crimine. Dite che esagero? Immaginate l’impatto che produce sul lettore la notizia di 20 milioni in beni mobili, immobili e titoli azionari sequestrati. 20 milioni di euro sono una cifra stratosferica, impensabile, inarrivabile. Per altro ormai sappiamo anche quando sia inutile mandare curriculum e quanto sia, a detta del Ministro Poletti, molto più proficuo partecipare a partite di calcetto per le relazioni che “notoriamente” si instaurano negli spogliatoi. Ché se fosse vero, uno come me nella vita non avrebbe avuto alcuna speranza, tanto sono negato per il calcio. Dall’altra mi tornano alla mente le parole di Roberto Maroni a proposito del Nord non infiltrato dalle organizzazioni criminali e l’irruzione che fece a “Vieni via con me” per dire che le mafie al Nord non ci sono. Maroni è stato smentito tante di quelle volte su questo punto, che se avessi una trasmissione televisiva lo inviterei solo per offrirgli la possibilità di chiedere scusa agli italiani per la cattiva informazione fatta da Ministro degli Interni. Ma magari questa volta resterebbe alla larga
Camorra07.06.2007
Morire di rifiuti