NON SOLO NELLA POLITICA, anche nella fenomenologia degli auguri sono saltati gli equilibri. Qualcuno sa che fine abbiano fatto gli auguri tradizionali di Natale e Capodanno? Pure loro sono stati rottamati, messi al bando perché fuori moda, pensionati, renziani, poco grillini, europeisti, democratici, carnivori, a favore delle sculacciate o dotati di troppi voucher? Non è dato sapere. Al loro posto nei telefonini si è abbattuta una torrenziale valanga di WhatsApp e video augurali, spesso demenziali, pane per i denti degli infanti ma inviati pure agli attempati, in dialetto pugliese o anche in inglese, in un inno di bip per non parlare del gif, l’ultimo grido del format digitale. Un’epidemia. Ci manca solo che nel 2017 il presidente Sergio Mattarella con tanto di messaggio di fine anno si tramuti in una app virale sui cellulari degli italiani.
SE PER I SOLONI dell’Oxford English Dictionary la parola del 2016 è stata post-verità - una notizia falsa spacciata per vera - allora l’anno appena passato è stato quello del post-augurio, più che la retorica degli auguri sentimentali ha impazzato la falsità del copia-incolla sul display, la flânerie dell’inoltrare, la comodità della velocità.
CORI ATROCI, balletti di babbi Natale, can-can di renne infiocchettate, cartoon caramellati, musiche da Armageddon con botti, scoppi, bengala, che non finiscono mai. Non per essere talebani dell’augurio classico, ma è un tormento, senza pace e senza requie. Un tartassamento quasi come la campagna per il (post) Referendum perché il popolo torturatore degli auguri social ha produttività da Bangalore e spietatezza da Satanik. Non conosce soste, orari, giorni del Signore, rush hours, albe e tramonti. Consumatore, collettore, distributore, è potentissimo, uno e trino proprio come qualcun altro.
NELL’ANTROPOLOGIA dell’augurio contemporaneo la svolta del WhatsApp era sembrata una pacchia, una Pasqua anche se era Natale, zero sforzo e tutti, amici e conoscenti, raggiunti con un solo clic, la rivoluzione e la soluzione a noiose e costose telefonate, l’oblomovismo ai tempi del cellulare, l’abulia nello scambio empatico approvata in società grazie al digitale.
NON ERA SOLO UN CLIC naturalmente. Era un passaggio di comunicazione e di costume. Alla politica breve, al concentrato twitter si affiancava il catalogo della fantasia degli altri, un palinsesto dei messaggi d’amicizia e d’affettività a disposizione, minimo sforzo, massima spersonalizzazione, utile molte volte e in alcuni casi, divertenti. Ma certo non l’unico scambio possibile o peggio ancora il segno di essere molto ricercati a seconda del numero di video ricevuti e poi mandati in risposta, in una sorta di superiorità social e sociale perfino.
LE CORRENTI DI PENSIERO che compongono la famiglia dei maratoneti dei videoauguri sono più articolate delle posizioni all’interno del Pd. Molto apprezzato l’indirizzo animalier con orchestre di affabili quadrupedi che zufolano, bassotti con berretti rossi e boxer con cerchietti natalizi, assennate conigliette che al posto di pace, serenità, amore si augurano cash, assegni, buoni di benzina o di gasolio, corse di antilopi sotto la scritta «happy gnu year». Nutrito anche il côté gigolò, una festa, si suppone, per occhi muliebri meno bene accompagnati, con bronzi di Riace dotati di ali, angeli dagli addominali da body building, babbi Natale in costume da bagno, coniglietti Clooney, toy boy in baby doll a cantare White Christmas. Il display s’intasa di bambini che ululano e lupi che distribuiscono baci, di filastrocche in dialetto irpino, di zampognari in versione cool-fool, di alberi di Natale parlanti, di fuochi d’artificio multicolor in barba al sindaco no-botti Virginia Raggi. Molto in auge il gruppo di ugole sudamericane baffute, una è vestita da Zorro, (gira anche una versione con il cantante portoricano Josè Feliciano) che inneggiano «Feliz Navidad prospero ano y felicidad» ma anche «Merry Christmas». Sarà sicuramente un dispetto dei latinos al presidente eletto Donald Trump.
Non è stato Natale ma un corso di sopravvivenza anche.